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Storia della mia famiglia, il racconto di Antonio Gargiulo

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“Storia della mia famiglia” è una serie italiana su Netflix che racconta la storia di Fausto, un uomo malato terminale che, nel suo ultimo giorno di vita, fa una serie di richieste alla sua famiglia per garantire un futuro sereno ai suoi due figli. La trama si sviluppa attorno ai legami familiari, le difficoltà legate alla perdita e la rinascita, con momenti di commedia e leggerezza che rendono l’esperienza emotivamente sfaccettata.
Fausto cerca di creare una rete di supporto emotivo ed economico per i suoi figli, coinvolgendo la madre, il fratello e una coppia di amici.

La serie esplora temi universali come l’amore familiare, il perdono e la riconciliazione. Il finale è volutamente aperto, lasciando molte questioni irrisolte e suggerendo che il legame familiare non si misura solo dalla vicinanza fisica, ma dal volersi bene e dal rimanere uniti nei momenti cruciali della vita.
A parla di questa serie e del suo percorso artistico, abbiamo con noi Antonio Gargiulo che, in questa serie Netflix, ha interpretato il ruolo di Demetrio.


Ciao Antonio, benvenuto ad Initaly.eu, è un gran piacere averti qui.
Dopo esserti formato presso la Scuola Civica d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, hai preso parte a diversi laboratori teatrali, tra cui uno diretto da Servillo. Quanto è stata importante la tua formazione teatrale per sbarcare anche nel mondo del cinema e della televisione? Porti con te qualche segreto imparato da lì?


Allora, io mi sono formato principalmente con un’educazione prettamente teatrale, quindi il mio codice, il mio DNA, è profondamente legato al palcoscenico. Sicuramente una delle cose che mi porto dietro dalle esperienze teatrali – che continuo ancora a fare – è l’importanza del contatto diretto con il pubblico.

Faccio parte della compagnia Teatro dei Gordi, con la quale abbiamo la fortuna di esibirci sia in Italia che all’estero. Il teatro mi ha dato una formazione che mi permette di avere un riscontro immediato con il pubblico. Il palcoscenico non mente: siccome il teatro si fa in tempo reale, in quell’incontro con il pubblico capisci subito se stai lavorando bene o male. Non so se mi sono spiegato.

Antonio Gargiulo protagonista della serie "Storia della mia Famiglia"
Antonio Gargiulo in scena

Sì, hai un feedback immediato.

Esatto, hai un feedback immediato, e questo ti permette di migliorarti costantemente. Il cinema, invece, è un lavoro molto di squadra, mentre il teatro si fonda principalmente sull’attore e sulla sua capacità di reggere la scena. Devi amplificare tutto, esprimerti in modo più marcato.

Sicuramente devo moltissimo alla formazione teatrale che ho ricevuto, in particolare all’accademia. Quando ho iniziato ad avere il desiderio di fare questo mestiere, tutto nasceva da una passione, ma poi subentrano anche tante “rotture di scatole” – tra virgolette – perché, quando una passione diventa un lavoro, ci sono anche aspetti più noiosi.

La formazione accademica mi ha dato la possibilità di affrontare tutto questo, di mettermi alla prova con tante ore di esercizio, tra teatro, cinema e televisione. Ho lavorato molto anche nella registrazione di programmi televisivi. L’Accademia mi ha davvero forgiato, mettendo alla prova non solo il talento, ma anche la volontà e la disciplina.

Alla fine, il talento da solo non basta: è qualcosa che va coltivato con il tempo. Il teatro, per me, è stato fondamentale proprio per questo.

Passiamo ora alla serie che ti ha visto protagonista in queste ultime settimane. Il tuo personaggio, Demetrio, in “Storia della mia famiglia” sta diventando sempre più noto. Era un tipico trentenne napoletano che, alla domanda “Meglio un giorno da leone o cento da pecora?”, avrebbe probabilmente risposto: “Facciamo cinquanta da orsetto”. Io, guardandoti, ti ho identificato molto nella figura di Massimo Troisi. Mentre giravi la serie, ti immaginavi nel personaggio di Troisi o comunque hai tratto ispirazione da lui?

Beh, innanzitutto, ricevere una domanda del genere è per me un grandissimo onore, perché anche solo essere accostato, anche vagamente, a un attore straordinario come Massimo Troisi è qualcosa che mi riempie di orgoglio.

Per rispondere alla tua domanda, devo dire che non è la prima volta che mi viene fatto notare un accostamento del genere, anche già prima di Storia della mia famiglia. Penso che il mio personaggio, per come è stato scritto, abbia delle caratteristiche e una certa sensibilità che possono ricordare quelle che Troisi aveva in scena.

Mi è capitato di essere accostato a lui anche nella vita di tutti i giorni, ma sul lavoro è la prima volta che viene fatto un paragone così diretto con il suo stile di interpretazione. Più che una citazione o un tentativo consapevole di richiamarlo, credo che io appartenga a quella tipologia di attore napoletano che condivide certe caratteristiche con lui. E, in realtà, ritrovo queste stesse caratteristiche anche in alcuni miei colleghi.

Quindi, più che somigliare a Troisi nel modo di recitare, mi piace pensare di far parte di una tradizione, di un certo modo di interpretare e raccontare.

Antonio Gargiulo sul set di "Storia della mia famiglia"
Antonio Gargiulo sul set

Quando recito, non penso mai consciamente a “fare una scena come l’avrebbe fatta Troisi”. Penso piuttosto a giocare con i generi cinematografici e teatrali. Ad esempio, mentre giravo, mi capitava di dire: “Questa scena ha un sentore di commedia romantica, quindi la interpreto in questo modo”, oppure “Qui voglio divertirmi a farla come se fosse un film horror, un thriller, un noir”.

Mi ispiro più alle atmosfere che non a singoli attori. Certo, come tutti, rubo qualcosa da ciò che vedo, dai film, dagli spettacoli, perché l’attore assorbe continuamente dal mondo che lo circonda. Ma se questa ispirazione è troppo intenzionale, rischia di risultare finta.

La cosa bella è che ognuno di noi ha un’unicità, qualcosa che ci portiamo dietro per tutta la vita. Per questo sono felice di questo accostamento, anche se nasce in modo del tutto naturale e involontario.

Lasciando un attimo da parte “Storia della mia famiglia” che ti ha visto protagonista e tornando ad Antonio attore, in che ruolo ti piacerebbe recitare nei tuoi prossimi progetti lavorativi? E stai già lavorando a qualcosa in questo periodo? Parliamo di film, cinema o comunque di serialità, insomma, quel tipo di progetti.

Allora, al momento non sono impegnato in un nuovo progetto cinematografico per i prossimi mesi, però c’è la possibilità di una seconda stagione di Storia della mia famiglia, e me lo auguro davvero, perché penso che la storia abbia ancora molti aspetti da approfondire e sviluppare rispetto alla prima stagione. Quindi, questo è un progetto che spero si concretizzi.

Per quanto riguarda i ruoli che mi piacerebbe interpretare, mi affascinerebbe molto il ruolo dell’aiutante di un commissario, un po’ come un Watson napoletano, se ci fosse l’opportunità.

Ti saresti visto al posto di Fabio Balsamo ad aiutare Salvatore Esposito in Piedone e lo sbirro?

Eh, direi di sì! Ora che ci penso, effettivamente sì, mi sarebbe piaciuto. Amo molto le storie legate a Napoli, con quelle atmosfere e quelle corde lì. Però, se dovessi scegliere, credo che mi vedrei più in un noir o in un thriller, perché sono molto appassionato di quel genere.

Secondo te, a cosa è dovuto l’hype mediatico che si sta creando attorno a “Storia della mia famiglia” da diverse settimane? E poi, senza fare spoiler, possiamo dire che c’è qualcosa di concreto sulla possibilità di una seconda stagione?

Allora, rispondo di nuovo alla seconda domanda: come ho detto prima, io lo spero davvero! Da quello che so, credo che la sceneggiatura sia in fase di scrittura proprio in questo momento, quindi stiamo aspettando una conferma ufficiale. Più di questo non posso dire, non perché non voglia, ma perché sinceramente non so ancora cosa stiano decidendo gli sceneggiatori, Filippo Gravina e gli altri autori. Sicuramente, però, stanno lavorando per esplorare nuovi aspetti della storia e dei personaggi che nella prima stagione non sono stati approfonditi.

Per quanto riguarda invece il successo della serie, penso che sia dovuto al fatto che le persone si rispecchiano immediatamente nelle vicende raccontate. È una storia che tocca temi universali e molto umani. Poi, secondo me, è stato fatto un ottimo lavoro, e non lo dico solo perché ne ho fatto parte, ma perché credo davvero che ci sia stata una grande cura sia nella scrittura che nelle interpretazioni degli attori e delle attrici.

Io già mentre giravamo avevo la sensazione che la serie avrebbe avuto un buon riscontro, proprio perché è facile identificarsi in queste storie. E infatti sto ricevendo tantissimi feedback in privato, e questa è una delle cose che mi rende più orgoglioso.

Molte persone mi scrivono per dirmi: “Anche noi stiamo passando la stessa cosa”, “Anche noi abbiamo vissuto un lutto e abbiamo dovuto riorganizzare la nostra famiglia”.
Alcuni mi hanno detto che guardare la serie per loro è stata quasi un’iniezione di fiducia nell’affrontare le difficoltà della vita, e questa è una cosa che mi riempie di soddisfazione. Significa che il nostro lavoro ha avuto un impatto reale sulle persone, e che il cinema non è solo intrattenimento, ma può anche offrire un servizio, un supporto emotivo.

Un’altra cosa che mi ha colpito tantissimo è che alcuni terapeuti e psicologi stanno addirittura usando la serie come esempio in terapia. Alcuni consigliano di guardarla ai loro pazienti, perché può essere un aiuto per elaborare certe situazioni familiari. Questo per me è un grande riconoscimento, perché significa che la serie ha saputo toccare corde profonde.

Antonio, nella risposta precedente hai detto di essere stato molto contento di aver fatto parte di un cast così importante, con attori come Eduardo Scarpetta, Massimiliano Caiazzo, Vanessa Scalera, Cristiana Dell’Anna e i piccoli fratellini che interpretavano i figli di Fausto. Ma tra tutto il cast, con chi ti sei trovato maggiormente a tuo agio? E, per buttarla un po’ sulla goliardia, chi reputi sia stato il più casinista del gruppo?

Ah guarda, sicuramente penserai che i più casinisti fossero i bambini, Tommaso Guidi e Jua Leo Migliore, ma ti dico che anche Massimiliano, quando si trattava di fare casino, non era da meno! Erano tutti e tre delle belle schegge da gestire, ovviamente in senso simpatico, perché poi in realtà erano proprio l’anima della famiglia sul set.

Io però mi sono trovato benissimo con tutti, davvero. Se devo parlare di una sintonia artistica particolare, sicuramente l’ho avuta con il regista, Claudio Cupellini, e con Cristiana Dell’Anna. Con lei ho girato la maggior parte delle mie scene, quindi c’è stato un legame speciale.

Cristiana Dell’Anna, Claudio Cupellini ed Antonio Gargiulo in scena

Già dai provini, dal casting che ho fatto, ho avuto la fortuna di provare il mio personaggio proprio con lei. Cristiana mi faceva da spalla nelle scene, e già in quel momento ho capito che tra noi c’era un’intesa che ci avrebbe permesso di divertirci in scena e di lavorare bene insieme. È una professionista straordinaria e una persona eccezionale.

Poi con Eduardo Scarpetta abbiamo vissuto momenti davvero divertenti, così come con Massimiliano, Vanessa e Filippo. È stato un cast affiatato, e quando si crea questo tipo di sintonia sul set, lo si percepisce anche nel risultato finale.

Antonio, come ultima domanda, vorrei chiederti qualcosa che possa essere utile a chi leggerà questa intervista. Che consiglio daresti ai giovani attori, agli aspiranti attori che vogliono intraprendere questo percorso? Magari iniziando dal teatro, che credo sia un’ottima palestra formativa, per poi arrivare al cinema o alla serialità.
Sì, assolutamente. Il consiglio che mi sento di dare è di essere molto onesti con sé stessi e di fare una valutazione sincera: quanto si è disposti a sacrificare per questo lavoro?

Io mi considero fortunatissimo perché faccio un mestiere che amo, che ho scelto, e che mi dà soddisfazioni. Se ti va bene, puoi anche guadagnare bene e fare esperienze incredibili. Ma ci sono anche tantissimi aspetti difficili: la frustrazione di non lavorare sempre, l’attesa infinita di una chiamata che magari non arriva.

Io ho debuttato in una serie a 40 anni, dopo anni di gavetta e sacrifici. Ho fatto di tutto prima di arrivare qui. Ecco perché il mio consiglio è di capire davvero quanta voglia si ha di mettersi in gioco, perché questo mestiere è una vocazione, e se non lo si sente dentro, diventa molto difficile portarlo avanti.

Una volta che si capisce che questa è la propria strada, allora bisogna studiare. Io consiglio di frequentare un’accademia, una scuola seria che ti tenga impegnato otto, dieci ore al giorno, perché è così che capisci se hai davvero voglia di vivere di questo.

Oggi, con i social, vedo che a volte si guarda solo il risultato finale: una scena che diventa virale su TikTok, un reel con milioni di visualizzazioni. Ma quel pezzettino di video è solo la punta dell’iceberg di un lavoro che dura mesi, anni.

Sul palco, il momento dell’applauso è bellissimo, ma dietro quell’applauso ci sono giorni, settimane, mesi di sacrifici. È un lavoro totalizzante, che ti porti sempre dietro, anche quando lo spettacolo finisce.

Quindi, il mio consiglio è: se davvero volete fare questo mestiere, fatelo con passione, con dedizione e con la consapevolezza che sarà un percorso lungo e difficile, ma anche meraviglioso se è quello che amate davvero.

Clicca qui, per vedere la serie “Storia della mia famiglia”

Pubblicato il
7/03/2025