Alessandro Politi è un giornalista professionista nato e cresciuto nel capoluogo lombardo, dove dirige da anni il Laboratorio di Giornalismo Investigativo dell’Università degli Studi di Milano. La sua formazione accademica è tra le più complete nel panorama giornalistico italiano: ha conseguito cinque lauree, tra magistrali e master universitari, in Giurisprudenza, Criminologia, Scienze Giuridiche Investigative, Neuroscienze Cognitive e Psicologia. Attualmente sta completando un nuovo percorso universitario in Balistica Forense e Criminalistica.
La sua carriera inizia prestissimo, a soli 15 anni, nella redazione del Giornale dell’Altomilanese, seguendo le orme dei genitori, entrambi giornalisti. Da lì prosegue una lunga esperienza nella carta stampata, collaborando con testate come Oggi, Millennium e Il Fatto Quotidiano, con un focus su inchieste, cronaca nera e tematiche sociali.
Il debutto televisivo arriva nel 2015 come inviato nel programma Open Space, condotto da Nadia Toffa su Italia 1. Da lì passa a Le Iene, dove lavora come autore e inviato fino al 2021, distinguendosi per le sue inchieste sul campo. In seguito approda in Rai, dove oggi è uno dei volti di punta di Storie Italiane su Rai 1, con reportage e approfondimenti di cronaca nera.

Sempre su Rai 1, Alessandro Politi è autore e conduttore della rubrica UnoMattina Crime, all’interno del programma UnoMattina Estate, e partecipa come ospite fisso in qualità di esperto di cronaca.
Parallelamente alla TV, Politi cura una rubrica settimanale su Il Giornale, diretto da Alessandro Sallusti, dedicata ai grandi misteri italiani: delitti irrisolti, cold case e gialli della storia del nostro Paese, raccontati con rigore investigativo e attenzione per le fonti.
Caro Alessandro Politi, benvenuto ad InItaly. Siamo contenti di averti con noi a raccontare il tuo percorso professionale. Giornalista, tv reporter, professore universitario… in quale di queste vesti ti senti maggiormente a tuo agio?
Mi sento a mio agio quando posso cercare e raccontare la verità, in qualunque veste. La ricerca giornalistica e l’attività accademica sono per me due facce della stessa medaglia: una verifica i fatti, l’altra insegna come verificarli. La tv aggiunge un terzo elemento, potentissimo: il linguaggio visivo, che può rendere accessibile a tutti ciò che spesso resta sepolto nei faldoni. Ma è il giornalismo d’inchiesta, quello che nasce dall’ascolto e dallo studio, il mio habitat naturale
Nel tuo percorso professionale da giornalista di inchiesta, cosa che attualmente insegni anche ai giornalisti, hai portato alla luce inchieste legate a cronaca nera, diritti dei cittadini e malasanità. Hai mai avuto paura mentre realizzavi questi servizi?
La paura è una reazione umana e, in certi contesti, anche una forma di prudenza. Mi è capitato di provare inquietudine, certo, soprattutto quando andavo a toccare interessi forti o verità scomode. Ma la paura non è mai stata più forte della responsabilità che sentivo verso chi ci metteva la faccia, o verso le storie che nessuno voleva più ascoltare. Il punto non è non avere paura, ma decidere da che parte stare nonostante la paura.

Dal 2015 al 2021 sei stato una Iena. Quali erano, secondo te, i requisiti per essere una buona Iena?
Per essere una buona Iena serviva, prima di tutto, coraggio. Il coraggio di cercare la verità anche quando fa male, anche quando ti porta dove nessuno vuole guardare. All’inizio, lavorare sotto copertura e fare riprese nascoste mi terrorizzava. Ricordo le prime inchieste: in Turchia, sui vestiti contraffatti gestiti dalla camorra; in Egitto, nel cuore di un traffico internazionale di anabolizzanti; in Calabria, dentro storie di omicidi e ’ndrangheta.
Sapevo di rischiare molto, anche fisicamente.
Ma la voglia di raccontare ciò che altri preferivano ignorare era più forte. Una buona Iena non è quella che fa rumore: è quella che si sporca le mani, che va a fondo, che mette la faccia anche dove sarebbe più comodo girarsi dall’altra parte. E che non dimentica mai che ogni storia riguarda persone vere. E la loro dignità va rispettata sempre, anche quando le telecamere sono spente. Lo stesso vale anche per ogni buon giornalista, che prima di essere un ottimo professionista dev’essere una brava persona.
Su Rai 1 curi la rubrica “Unomattina Crime”. In cosa consiste questo spazio?
È uno spazio settimanale arrivato alle sua 40esima puntata di racconto e analisi giornalistica, che porto avanti con l’autrice Fabiana Radicioni e con una squadra di grande valore. “UnoMattina Crime” prova a ricostruire casi di cronaca nera, talvolta dimenticati, irrisolti o ancora avvolti nel mistero, con rigore e sensibilità, cercando di restituire centralità alle vittime e un approccio rispettoso alle indagini ma sottolineando in modo oggettivo e distaccato tutto quello che non torna.
Lo facciamo grazie al contributo della Polizia Scientifica, di criminologi, magistrati, esperti forensi, illustratori, e con il supporto narrativo della regia e della voce fuori campo. Non è spettacolo, ma servizio pubblico. In questa stagione al mio fianco ho avuto in tutte le puntate, la criminologa e psicoterapeuta Margherita Carlini e il magistrato Ines Pisano.

Quanto è difficile svelare i trucchi dei giornalisti investigativi?
Non parlerei di “trucchi”, ma di metodo. Il giornalismo investigativo richiede tempo, studio e capacità di distinguere ciò che è rilevante da ciò che è soltanto rumoroso. A volte l’elemento decisivo è in un dettaglio marginale, altre volte in ciò che manca. Insegno ai miei studenti che l’inchiesta non si improvvisa: si costruisce con pazienza, con rispetto delle fonti e con rigore documentale. Svelare il “come si fa” è difficile solo se si pensa che sia magia: in realtà, è lavoro. Tanto lavoro. Ma soprattutto passione e amore per la verità.
Hai lavorato con la Iena Nadia Toffa. Ci racconti che tipo di persona era e quali insegnamenti ti ha lasciato? Qual è il più bel ricordo di lei che conservi?
Nadia era una forza della natura, ma anche una persona profondamente umana. Aveva una sensibilità rara, sapeva ascoltare senza giudicare e affrontava ogni inchiesta con grinta, empatia e rispetto.
Il ricordo più bello che ho di lei è molto personale: avevo 25 anni, ero arrivato da pochi mesi alle Iene, e lei, che aveva già un grande seguito, si prese il tempo per parlarmi.
Un giorno mi raccontò della fatica che aveva fatto per diventare inviata, di quanto fosse stato duro farsi strada. Mi colpì moltissimo la sua umiltà. Mi disse con decisione: “Non mollare mai, credi in quello che fai.”
Quelle parole mi sono rimaste dentro. Mi incoraggiava sempre. Eravamo molto simili in certi aspetti, nella determinazione, nella voglia di dare voce a chi non ce l’ha. Una grande donna, prima ancora che una grande professionista.

Ringraziamo Alessandro Politi per essersi raccontato a noi. Ti auguriamo buona fortuna per il tuo futuro professionale e speriamo che tu possa raccontarci in futuro tante belle novità.