Cercando sul vocabolario il termine “Pizza”, balza subito all’occhio la sua natura di sostantivo femminile.
La pizza è femmina
Per capire a Napoli cosa si intende dire quando si dice “a pizz è femmena”, abbiamo qui con noi la bravissima Jessica De Vivo, pizzaiola e titolare della pizzeria MaryRose:
“Innanzitutto, vorrei portare un caloroso saluto a tutti i lettori di Initaly.
Il fatto che la pizza sia “femmena” lo riscontriamo proprio dall’etimologia: tra i diversi articoli determinativi noi usiamo proprio “LA”.
Proprio perché la pizza è “femmena”, io ho deciso di intraprendere questo mio percorso all’età di soli 7 anni e adesso posso dire di essere veramente orgogliosa di ciò che faccio.Un po’ mi dispiace che non ci sia un numero di pizzaiole in proporzione con i pizzaioli. Credo che potrebbe crescere molto di più il numero di noi donne.
Quest’anno le donne hanno trionfato al Pizza Village in occasione del campionato mondiale Caputo, con la vittoria della giapponese Madoka Shibamoto, nella categoria pizza contemporanea. Quindi credo che sappiamo farci valere molto bene, e ne sono contentissima.
Indubbiamente la donna ha anche molta più eleganza nella preparazione della pizza.
Cosa rappresenta per i napoletani la pizza?
Per noi napoletani la pizza è vita, potrebbero farsi tante iniziative dedicate ai tanti prodotti d’eccellenza partenopei, ma non a caso si realizza ogni anno il “Pizza Village”, in onore della nostra prelibatezza, apprezzata in tutto il mondo.
Questo successo asiatico ai campionati mondiali Caputo è, secondo te, marketing, poiché la pizza raggiunge ulteriori confini, o la bravura e la maestria può appartenere a tutti?
Ma guarda, io credo sia possibile che la maestria possa appartenere a tutti e, perché no, anche ai vincitori asiatici.
L’unica cosa che ritengo sia imprescindibile, sia nella preparazione delle pizze contemporanee che in quelle tradizionali (STG), è che bisogna sempre seguire i dettami partenopei, questa credo sia la regola numero uno per questo tipo di mestiere.
A partire dal 2017, possiamo vedere che “l’arte del pizzaiuolo napoletano” è stata riconosciuta dall’Unesco e iscritta nella lista del “patrimonio immateriale dell’umanità”.
Già nel 2010 però la Commissione dell’Unione Europea ha varato un regolamento che disciplina la produzione della pizza napoletana nel mondo, riconoscendola ufficialmente STG, marchio di origine che sta per Specialità Tradizionale Garantita, usato per tutelare determinati prodotti tipici la cui preparazione richiede precisi metodi di produzione.
Proprio per questo motivo, ogni anno (siamo giunti adesso alla ventesima edizione) si tiene il campionato mondiale Caputo.
L’organizzazione della competizione, durata tre giorni, è stata curata dall’ Associazione Pizzaiuoli Napoletani, presieduta da Sergio Miccù.
Questo campionato vede la partecipazione di circa cinquecento pizzaiuoli di tutto il mondo, che vogliono accaparrarsi a tutti i costi il titolo di campioni del mondo.
La Caputo Cup è un’occasione di condivisione, ma soprattutto una possibilità di sfida tra tutte le delegazioni mondiali presenti, dal momento che, grazie agli importatori Caputo, ogni anno si tengono centinaia di Caputo Cup in giro per il mondo.
Quest’anno, circa un partecipante su tre era straniero. Questo manifesta e dimostra ancora una volta che la pizza napoletana, così come l’arte del pizzaiuolo, non ha più confini geografici, divenendo forse il piatto più amato da tutto il mondo.
Questo è stato possibile anche dal momento che si è usciti dalla pandemia e si è tornati a viaggiare.
Tante erano anche le emozioni sugli spalti, tra l’adrenalina per le gare e la tanta voglia di divertirsi, confrontandosi su tecnica e ingredienti da usare.
Grande partecipazione ed ottimi risultati da parte del continente asiatico, il quale ha portato in gara la bellezza di 40 pizzaioli coreani, 21 giapponesi e 26 tra cinesi e taiwanesi.
Importante anche la presenza della quota rosa, che quest’anno ha sfiorato quasi il 10% del totale con circa 40 pizzaiuole in gara.
Grande la partecipazione anche da parte del continente americano. In ben 27 si sono contesi il titolo di miglior Pizza Americana.
Ritornando al successo del continente asiatico, possiamo vedere come Corea e Giappone sono stati i protagonisti indiscussi di quest’ultima Caputo Cup.
Per la categoria STG, specialità tradizionale garantita, a trionfare è stato il pizzaiolo coreano Jun Hwan Yu, mentre per la categoria Pizza Contemporanea, la vincitrice è stata la giapponese Madoka Shibamoto.
Per le altre categorie i vincitori sono stati: Claudio Vicanò ( pizza Classica), Stefano Caiazza (pizza in teglia), Carmine Argenziano (Pinsa/metro/pala), Daniele Atonna (pizza di stagione), Nunzio Gallo (pizza senza glutine), Ivan Celio (pizza juniores), Ciro Magnetti ( pizza fritta), Antony Barghela (pizza Americana), Giorgio Nazir (Gare acrobatiche-pizza più larga), Saverio Labate (Gare acrobatiche-pizza più veloce), Giorgio Nazir (Freestyle), Croazia (trofeo delle nazioni), Salvatore Iorio (Trofeo Rosso Pomodoro).
Dunque, possiamo dire senza dubbio, ribadendo il concetto del patron di Mulino Caputo, Antimo Caputo, che il Campionato Mondiale del Pizzaiuolo è un vero successo, figlio di un lavoro itinerante che dura tutto l’anno.
Il trofeo Caputo è l’unico vero campionato mondiale, proprio perché con le sue tappe, è in grado di toccare tutti i continenti.