L’arte Presepiale nasce a Napoli nel XI secolo, quando i primi atti notarili testimoniavano la presenza dei nobili presepi.
Nel corso degli anni questa nobile arte si sta sempre più proiettando in una versione commerciale.
Quest’oggi abbiamo il piacere di intervistare e di conoscere la storia del maestro Biagio Roscigno.
Ciao Biagio, benvenuto ad Initaly.eu.
Com’è nata la passione per il presepe e l’idea di diventare artigiano dell’arte presepiale?
Non è una passione; preferisco definirla una vocazione. La passione, come dico sempre, nasce col tempo. Io, invece, già a 7 anni (ero in prima elementare) elaboravo le prime piccole scenette. Per questo dico che è una vocazione: è qualcosa che viene da dentro. Non era un movimento esterno, non venivo condizionato.
Dentro di me sentivo questa vocazione e, infatti, a 6/7 anni già facevo i primi presepini in sughero fino a quando, con caparbietà, non ho deciso di continuare in quest’arte, facendo sempre presepi, ed è lì che la passione si è sviluppata ed è cresciuta. Così questa passione è diventata lavoro.
Chiaramente questa è una cosa difficilissima: io, per fortuna, ho potuto vivere di questa passione.
Precisiamo: io sono sposato, ho due figli e con questa passione/lavoro ho pagato anche il mutuo, l’auto e tutto ciò che serve per vivere quotidianamente. Certamente non è facile, ma col tempo le soddisfazioni arrivano: sono arrivate tante richieste anche importanti… e continuano ad arrivare! La cosa più bella, ovviamente, è portare il tipico artigianato napoletano nel mondo.
Perché rimanere nella Sanità?
Perché il Quartiere Sanità è il mio quartiere, dove sono nato, e per me era importare aprire la mia bottega qui e non a San Gregorio Armeno. Questo non perché io voglia discriminare il luogo, ma perché volevo che nascesse qualcosa nel mio quartiere. Stare lì (cfr. San Gregorio Armeno) significa stare a contatto con tante persone; qui riesco ad avere una mia identità e riesco a beneficare il mio quartiere.
Tanto è vero che il Presepe Favoloso, realizzato da me in termini di scenografia e dai Fratelli Scuotto, della Scarabattola, relativamente ai pastori, è un dono che noi abbiamo fatto al quartiere. È un presepe di 3 metri per 4, con oltre 100 figuranti, con la teca realizzata dal DIARC (Dipartimento di Architettura della Facoltà di Napoli), capeggiato dal prof. Nicola Flora.
Stiamo parlando, quindi, di più eccellenze che si sono poste a disposizione del quartiere, al fine di garantire che anche la Sanità, oltre al Centro Storico ed ai Musei, potesse avere una nuova ventata turistica. La scelta, quindi, è qualcosa di voluto: soprattutto lo stare al Palazzo dello Spagnolo, che è un palazzo incredibile.
Negli anni ho deciso di specializzarmi nelle scenografie, perché ci sono tante specializzazioni: pastori, oggetti, animali (variano i materiali: vetro legno), chi veste (diventando sarto/a dei pastori napoletani).
Io, invece, ho capito che la mia strada fosse la scenografia, perché mi ha sempre dato qualcosa in più: mi ha ispirato sempre maggiormente il riprodurre mura vecchie, il tufo, il piperno, i bassi, gli infissi degli edifici. Napoli è una delle fonti di ispirazioni di quello che faccio: preciso, a volte, che per trovare ispirazione, non solo visiono immagini in cataloghi e miniature dell’epoca, ma, dopo aver chiuso bottega, vado in giro per Napoli e in particolar modo dalla Sanità, che è fatta di bassi, di edifici vissuti. Tutti questi edifici trasudano storia ed io amo stare in questo quartiere.
Certamente il quartiere ha le sue difficoltà, perché non è un quartiere semplice.
Però, negli ultimi anni, sta vivendo un percorso di rinascita soprattutto grazie a Padre Antonio Loffredo con la formazione di cooperative sociali, come quella della “Paranza”, che fanno parte del circuito “Comunità San Gennaro”.
Così, grazie al loro impegno, si sta riuscendo ad alzare la testa, migliorando il modo di vivere in questo quartiere. Fino a qualche anno fa, era una sorta di posto a sé stante. Ora, invece, è una vera propria meta turistica, grazie alle eccellenze del posto – come pasticcerie, bar e altre varie forme di artigianato.
Biagio, allora, abbiamo parlato della Sanità e dei progetti che ci sono dietro questo storico quartiere. Giustamente la Sanità la possiamo anche scoprire e studiare attraverso le arti e le eccellenze teatrali, avendo avuto qui il Principe della risata (cfr. Totò). Quindi, un quartiere così importante e maestoso (anche se molto spesso maltrattato e fatto crollare) in cui abbiamo figure di questo calibro: com’è possibile iniziare questo percorso di rinascita e di splendore, il quale è l’augurio di tutti voi che vivete quotidianamente questo quartiere?
Qualcuno più importante di me diceva che “il bello salverà il mondo”. Le persone devono abituarsi a capire che c’è qualcosa di bello dietro ogni cosa. Se gli stessi abitanti del Rione Sanità riescono a capire che c’è del potenziale alla base del loro quartiere – guardiamo agli edifici storici, alle risorse umane, alle tradizioni – allora capiranno che va gestito meglio e rispettato perché, se conosci la storia del luogo, lo rispetti!
Innanzitutto non è un lavoro che si compie in poco tempo: Padre Antonio Loffredo, con i suoi ragazzi della “Paranza”, ha impiegato oltre vent’anni per giungere ai risultati attuali.
Il bello è qualcosa di oggettivo. Infatti, lo nota soprattutto chi viene da fuori.
Certamente noterà anche i difetti, ma emerge soprattutto il bello. Non a caso il documentario realizzato da Trudie Styler, la moglie di Sting, è stato girato qui, nel Rione Sanità. John Turturro ne fece uno addirittura prima. Questi si concentra maggiormente sulla musica, sui canti popolari napoletani. Lui è uno di quelli che si perde nei meandri della città.
Lo stesso presidente francese Macron ama la commedia napoletana (da Eduardo De Filippo ad Antonio de Curtis). All’università ha studiato, addirittura, la commedia “Il Sindaco del Rione Sanità” (cfr. commedia di Eduardo).
Se persone di un certo calibro apprezzano la nostra realtà, significa che il lavoro fatto fino ad adesso – lavoro che poteva sembrare più sotterraneo, più nascosto – sta finalmente emergendo. Immaginiamo una luce che sovrasta finalmente le tenebre! Si vede: si stanno raccogliendo i frutti di un lavoro che iniziato almeno un ventennio fa. In fondo, noi non abbiamo la bacchetta magica ed alla Sanità tutto è perfetto.
Stiamo semplicemente raccogliendo i frutti di vent’anni di sudore.
La Sanità era un quartiere non facile (forse lo è ancora). Ci si sta finalmente abituando all’altro: l’altro – il turista – non è una persona da derubare, da far fesso; bisogna farlo sorridere, portarlo in giro. È questo il concetto che sta cambiando.
Quando si sta bene te ne accorgi: anche chi vive nel male e nell’illegalità, ora ha piacere di vedere le strade più curate, maggiore pulizia e tante cose da visitare. Pensiamo all’ “Ipogeo dei cristallini“, altra realtà stupenda da vistare. Il nostro quartiere è situato in una zona “extra moenia”, ossia fuori le mura della città antica, e fuori alle mura avvenivano le sepolture.
Per questo noi qui ritroviamo le Catacombe di San Gennaro, di San Gaudioso, San Severo, Ipogeo di Cristallini, Cimitero delle Fontanelle. A proposito del Cimitero delle Fontanelle, addirittura Renzo Piano, uno degli architetti più importanti al mondo, ha relegato il progetto di riqualificazione delle Fontanelle. Quindi, così riusciamo a capire il grande potenziale della Sanità, quante cose si possono ancora fare. Certamente tutto questo migliora le condizioni di vita e la rete sociale all’interno del quartiere.
Biagio, ti pongo un’ultima domanda. Abbiamo parlato del presepe, del sociale, della Sanità. Ma Biagio, come persona, come artigiano, come cittadino, ha un sogno nel cassetto?
Io mi reputo fortunato, a dire la verità, perché dal punto di vista professionale il mio sogno era diventare presepista. Fin da piccolo (i miei 8/9 anni), sognavo di essere presepista. Oggi, allora, a 45 anni, vivendo di questo, vivendo di restauro… il mio sogno nel cassetto “è stato tirato fuori”, si è realizzato. È stato un realizzarsi sia umano che professionale.
Anche umanamente, sono felice con mia moglie.
Ci siamo conosciuti quando avevo quindici anni, ora ne ho quarantacinque, e abbiamo due figli maschi bellissimi.
Dal punto di vista professionale, volevo laurearmi in Conservazione dei Beni Culturali e l’ho fatto. Volevo diventare restauratore, perché amavo il legno, e l’ho fatto.
Forse, l’unica cosa che mi piacerebbe vedere è la realizzazione di un museo di arte presepiale, una sorta di museo didattico che dia la possibilità ai visitatori di capire l’evoluzione vissuta dal presepe napoletano.
Capire perché a San Gregorio vedono una cosa, a San Martino (alla Certosa) ne vedono un’altra. Sarebbe bello avere un unico luogo in cui vedere le diverse età dei presepi: quella antica, quella moderna e quella contemporanea. Così chi esce dal museo può capire quale sia stata l’evoluzione del presepe.
Purtroppo le idee chiare su questo aspetto non le hanno in molti, se non alcuni critici esperti.
Anzi gli stessi napoletani non conoscono la storia del presepe. Così pensano che San Gregorio Armeno sia il presepe napoletano, quella è solo una coda della storia, una storia che ha portato da pastori a grandezza naturale a una riduzione dei pastori, dovendo porre il presepe in casa, a 7 cm/3 cm. Questa è solo la coda dell’evoluzione.
Quindi, il sogno da realizzare sarebbe proprio l’allestimento di unico presepe, che sia soprattutto didattico.