Maria Giovanna Paone, Presidente del C.d.A e Amministratore Delegato di Ciro Paone S.p.A., rappresenta da sempre un punto di riferimento internazionale per l’alta sartoria maschile e femminile grazie al marchio Kiton.
Negli anni Novanta ha assunto il ruolo di direttore creativo della linea donna, da lei ideata, rafforzando ulteriormente l’identità del brand Kiton.
La sua figura imprenditoriale è cresciuta in parallelo con l’espansione del gruppo Kiton, che oggi conta oltre sessanta boutique monomarca nel mondo e due sedi distributive strategiche in USA e Asia.
Il suo contributo è stato recentemente riconosciuto con l’onorificenza di Cavaliere del Lavoro, lo stesso titolo che era stato conferito al padre nel 1999.

Dottoressa Paone, benvenuta su InItaly. È un onore averla con noi.
Ci racconta la storia della Ciro Paone S.p.A., dalla fondazione da parte di suo padre fino al suo ingresso in azienda?
Mio padre ha fondato l’azienda nel 1968. Inizialmente aveva un negozio di tessuti a Piazza Mercato, a Napoli. Con l’avvento del prêt-à-porter, il settore della sartoria tradizionale entrò in crisi: le persone preferivano acquistare capi già pronti, e di conseguenza anche i negozi di tessuti cominciarono a risentirne. Da lì nacque l’idea di creare un prodotto sartoriale che potesse essere proposto come prêt-à-porter.
Forte della sua profonda conoscenza dei tessuti, mio padre iniziò a selezionare i migliori fornitori, sia italiani che inglesi, e a costruire una catena produttiva che riproducesse in modo industriale il lavoro del sarto tradizionale. Organizzò il lavoro per fasi — taglio, cucitura delle tasche, dei colli, delle maniche, ecc. — in modo da ottenere un prodotto uniforme, ma con la stessa qualità e cura artigianale del capo sartoriale.
Iniziò a proporre questo prodotto in Italia e poi subito in Francia e Germania, i primi mercati esteri. Non fu semplice: Napoli, negli anni ’60, non era certo la sede più facile per affermarsi nel mondo della moda. Ma grazie alla qualità del prodotto e alla serietà nelle consegne, Kiton si guadagnò credibilità. Così arrivarono anche i mercati americani e asiatici.

Io sono entrata in azienda nel 1986, a 18 anni, dopo il diploma in ragioneria. Mio padre inizialmente era contrario: pensava che il mondo della sartoria maschile non fosse adatto a una donna, sia per la sensibilità richiesta, sia per l’ambiente, dominato da clienti e fornitori uomini. Ma col tempo ha visto la mia determinazione.
Ha capito che da sola non avrei potuto portare avanti l’azienda, così ha coinvolto anche altri membri della famiglia: i miei cugini, tra cui Antonio De Matteis, oggi amministratore delegato, che ha seguito mio padre passo dopo passo nello sviluppo dell’impresa. Anche mia sorella ha avuto un ruolo importante, prima nei magazzini e poi come direttrice delle risorse umane. Mio padre ha sempre dato grandissima importanza al rapporto personale con ogni dipendente.
Negli anni ’80 abbiamo aperto la corporation in America, e nel 2010-2011 ci siamo espansi in Asia. In parallelo, abbiamo evoluto il concetto di prodotto sartoriale sviluppando un total look: dalla cravatta alla camicia, passando per giubbotteria, capi in pelle, denim, maglieria — grazie anche all’acquisizione di aziende artigianali in difficoltà che lavoravano per altri brand.
Oggi abbiamo circa 60 boutique monomarca, di cui 50 gestite direttamente. Negli anni ’90 abbiamo anche lanciato la linea donna, che dagli anni 2010-2015 si è trasformata in una vera collezione. Realizziamo quattro collezioni l’anno, collaborando con designer esterni per la scelta dei tessuti e lo sviluppo creativo, con un focus particolare sulla seta.

Kiton è oggi una realtà globale. Quali sono state le strategie imprenditoriali che hanno permesso una crescita così significativa?
La strategia fondamentale è stata quella di mantenere sempre alta la qualità del prodotto. Non è una scelta che paga subito, ma col tempo dà grandi risultati. Non abbiamo mai aspettato che fosse il cliente a venire da noi: abbiamo portato il nostro prodotto anche in mercati difficili e lontani, costruendo una rete internazionale di clienti.

Va detto che nel nostro caso non si è trattato di una strategia scritta a tavolino. La nostra è una strategia costruita giorno dopo giorno, fondata su sessant’anni di lavoro, fatta di scelte graduali, ponderate e sostenibili. Non crediamo nelle operazioni-lampo o nei piani troppo rigidi: il nostro mercato ha bisogno di tempo per comprendere e apprezzare davvero il prodotto.
In cosa Kiton si distingue rispetto ai concorrenti?
Soprattutto nella qualità. I nostri capi sono di livello superiore, ma non sempre vengono capiti immediatamente dal mercato. Serve pazienza, bisogna educare il cliente al valore del prodotto. Produciamo solo 60 capi maschili e 20 femminili al giorno: un numero molto limitato, perché la qualità richiede tempo, artigianalità, attenzione.
Oltre alla clientela, dobbiamo tenere conto anche dei contesti politici ed economici dei diversi Paesi. Non si può prescindere dal quadro complessivo.
La vostra scuola di sartoria, fondata nel 2001, rappresenta un pilastro importante. In che modo tramandate quest’arte alle nuove generazioni?
Alla fine degli anni ’90 ci siamo trovati davanti a una crisi profonda: i nostri sarti andavano in pensione e non c’era ricambio generazionale. L’età media era altissima e rischiavamo di perdere il know-how in pochi anni.
Così abbiamo creato la scuola. All’inizio fu difficile trovare giovani interessati: molti figli di sarti erano spinti dalle famiglie verso percorsi universitari, considerati “più prestigiosi”. Ma noi ci siamo rivolti soprattutto a quei ragazzi tra i 16 e i 21 anni che non volevano continuare a studiare, offrendo loro la possibilità di imparare un mestiere.

La scuola è gratuita, dura tre anni, accoglie ogni anno solo una classe di 20-22 alunni. I ragazzi entrano in azienda, vengono formati e spesso assunti. Oggi molti di loro lavorano con noi o hanno aperto attività proprie. È cambiata anche la percezione del mestiere: oggi fare il sarto, specie nella tradizione napoletana, ha un fascino che prima non aveva.
A ottobre inizieremo il nuovo corso. Le iscrizioni sono aperte online e abbiamo diffuso locandine nelle scuole.
Lei è Cavaliere del Lavoro. Come ha conciliato il ruolo di imprenditrice con quello di madre e donna in un settore tradizionalmente maschile?
Oggi mi sembra tutto più facile, ma se mi guardo indietro mi chiedo davvero come abbia fatto. Di certo ho avuto fortuna e ho potuto contare sulla mia famiglia: i miei cugini, mia sorella, tutti impegnati in azienda. Ci siamo divisi i compiti, anche quelli più personali.
Una donna resta sempre il perno della casa: marito, figli, genitori. Quando mio padre si è ammalato ed è rimasto sulla sedia a rotelle per quindici anni, il mio ruolo di figlia mi imponeva di stargli vicino. Dividersi tra questi ruoli non è semplice, ma si può fare, soprattutto se hai accanto persone che ti sostengono.
Essere donna in un mondo maschile richiede pazienza e forza. È vero che ci sono momenti in cui una donna è meno presente in azienda, ma è altrettanto vero che può dare molto di più in altri ambiti. È questione di equilibrio. E oggi posso dire di non aver mai mollato. Ringrazio Dio per questo, per la mia famiglia, per i miei figli e anche per mio marito, con cui — tra alti e bassi — ho condiviso 30 anni di matrimonio. Sono stata fortunata.

Dopo Asia e Stati Uniti, quali sono i mercati target per Kiton?
Stiamo osservando con attenzione l’India, che è un mercato potenzialmente molto ricco. Serviamo già clienti indiani dai nostri negozi a Londra e Parigi, ma aprire direttamente lì richiede una strategia ad hoc: lì il lusso si consuma spesso in ambito privato, non nelle boutique.
Il Sud America è sempre stato affascinante ma complicato. In parte lo serviamo già tramite i negozi in Florida, tra Miami e Palm Beach, che fungono da ponte verso quel mercato.
Abbiamo appena aperto il primo negozio diretto in Giappone, mentre in Corea ne abbiamo sei. In Australia, invece, non siamo ancora presenti in modo strutturato. Vent’anni fa avevamo un cliente, ma nulla di più.
Guardiamo anche agli Emirati Arabi, dove abbiamo già alcuni partner locali. Ma una volta coperti i centri principali (Doha, Dubai, Abu Dhabi, Riyadh, Kuwait), ci sono meno possibilità di espansione. Ogni mercato va analizzato e pianificato con attenzione.
Nel complesso, è soddisfatta della posizione attuale del gruppo Kiton?
Molto. I figli di tutti i soci stanno entrando in azienda e danno grande energia. È bello vedere una nuova generazione affascinata da questo lavoro, proprio come è successo a me con mio padre. Oggi vado a lavorare con i miei figli: è una gioia immensa.
Il mercato è in continua evoluzione. Non ci si ferma mai: c’è sempre un progetto da sviluppare, un’idea da inseguire. E questa è la parte più entusiasmante del nostro lavoro.
Grazie per essere stata con noi. Ci auguriamo di sentirla presto con importanti novità per le sue attività imprenditoriali targate Kiton.
Visitate il sito ufficiale del gruppo Kiton.