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Palazzo Pitti: la meraviglia nascosta dietro il muro di pietra

Tipo di attivitàTurismo
StagioneTutto l'anno
RegioneToscana

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Che non vi si lasci ingannare da tanta austerità: Palazzo Pitti a un primo e felino sguardo, potrebbe apparire un tanto impetuoso, quanto arido colosso di pietra che affaccia su una piazza che, diversamente, sembra grondare ogni giorno della linfa vitale dei suoi abitanti. Ma cosa accadrebbe se si tentasse di cambiare prospettiva? E se il varco verso quella illusoria tristezza di pietra si rivelasse invece la chiave d’accesso a inaudita meraviglia?

Prima di addentrarci nei dettagli più interni e vividi dell’antica residenza borghese, è bene suggerire un’ultima occhiata verso l’esterno, proprio dall’interno di quello stesso blocco di pietra che adesso, invece, ci regala una Firenze mai vista, che desterebbe sorpresa anche ai suoi più arguti conoscitori. Firenze appare più lenta, più larga, quasi come se si trattasse di una di quelle esperienze immersivo-digitali della nostra contemporaneità. Peccato che qui non si tratti d’altro che di un edificio che sin dal 1919, anno in cui Vittorio Emanuele III lo concesse allo stato, non smette di donare autenticità ai suoi visitatori.

Dalle origini alla concessione statale

Palazzo Pitti, risale al 1458, quando la celebre residenza rinascimentale fu commissionata da Luca Pitti, ricco banchiere fiorentino vissuto negli anni della signoria di Cosimo de’ Medici. Agli occhi di molti, la realizzazione di questo palazzo fu vista quasi come un atto di sfida nei confronti di una delle famiglie più potenti e rinomate della Firenze dell’epoca: I Medici.

Come si trattasse quasi di una beffa del destino, nel 1549 fu proprio la famiglia Medici ad appropriarsi di Palazzo Pitti circa un secolo dopo, trasformandolo nella loro residenza. Per questo motivo quello che era nato come simbolo di ascesa borghese da parte della famiglia Pitti, si tramutò ben presto nell’esempio più tangibile dell’affermazione medicea, al pari di una sorta di nuova “monarchia fiorentina”.

Al di là delle simpatie o antipatie storiche, bisogna ammettere, senza troppi sforzi, che i Medici apportarono grandi modifiche al Palazzo, che ancora oggi lo rendono una delle maggiori eccellenze storico-artistiche in Italia. Oltre all’ampliamento e arricchimento della struttura, l’edificio fu collegato a Palazzo Vecchio tramite il Corridoio Vasariano.

Sarebbe ingiusto e criticamente scorretto, d’altronde, ridurre la nuova residenza medicea a puro sfarzo artistico. Palazzo Pitti era molto di più: era manifesto politico. Ogni affresco, ogni sala, ogni opera era strumento volto a legittimare il potere della dinastia.

Successivamente il palazzo passò agli Asburgo-Lorena nel 1737, per poi divenire la residenza reale di Casa Savoia nel quinquennio in cui Firenze fu capitale del Regno d’Italia (1865-70), proseguendo la sua spinta evolutiva, sempre mediata dalla dinamica capacità di adattamento a nuovi contesti politici. Poteva mutare la guida politica, la funzione assunta dall’edificio, ma Palazzo Pitti rimaneva pur sempre spazio inconfondibile e inconfutabile del potere.

Di quell’innegabile simbolo di legittimazione politica oggi rimane il museo che noi tutti conosciamo: gagliardo custode di capolavori quali la Galleria Palatina o il Museo della Moda e del Costume, senza però mai perder memoria di esser la più candida testimonianza di un tempo in cui l’affermazione dell’identità politica passava attraverso la più vivida esibizione dell’arte.

Il Giardino di Boboli: il polmone verde di Palazzo Pitti

Potremmo definire il Giardino di Boboli, proprio alle spalle di Palazzo Pitti, come un’estensione della reggia in chiave naturalistica. Un palcoscenico a cielo aperto, dove natura, arte e architettura si uniscono nel più sublime degli incontri.

Credit: Wikipedia

E’ qui che lo spettatore, ancora disorientato dalla bellezza che trasuda dalle sale di palazzo, ritrova l’equilibrio del verde geometrico delle terrazze e dei vialetti, da cui si può osservare la città che sale, il cielo che si allarga sopra le colline. In altre parole:il respiro più profondo di una Firenze meno turistica e più connessa alla natura.

Il caos di una città perennemente in movimento è solo un lontano ricordo, per quei visitatori che lì, su quelle panchine all’ombra degli alberi, risultano quasi increduli davanti a quell’attimo di tregua che li avvolge come se d’un tratto il tempo si fosse cristallizzato.

La Galleria Palatina: il gusto fiorentino che si fa museo

Tra le più importanti collezioni d’arte d’Italia, la Galleria Palatina è un tripudio di opere pittoriche, composto da circa 500 dipinti, di epoca Rinascimentale e Barocca. Per l’esattezza la produzione di gran parte di queste opere risale al XVI e XVII secolo.

La disposizione delle opere, sempre entro Palazzo Pitti, riflette esattamente il gusto aristocratico dell’epoca. Non vi è infatti né un ordine cronologico, né tematico. Per cui, a differenza di molti musei odierni, la Galleria Palatina ha preferito ancora oggi mantenere l’allestimento originale, espressione diretta del gusto e della vita dei principi che ne collezionavano i dipinti. In particolare, nella sezione dei ritratti di corte possiamo notare i volti e le personalità scolpite nella storia fiorentina.

Tra gli artisti più celebri presenti nella collezione, fiore all’occhiello di Palazzo Pitti, troviamo Raffaello, con capolavori come La Madonna del Granduca e La Velata; seguito da Tiziano, con l’inconfondibile Maddalena penitente. Non mancano poi i grandi maestri del Barocco, come Rubens, Van Dyck e Caravaggio, figli quel pathos vincente quanto delicato, il quale, inevitabilmente finisce per arricchire ulteriormente una collezione da sempre variegata di superlativa qualità artistica.

A cura di Clara Gifuni

Per maggiori informazioni su Palazzo Piti, visita il sito ufficiale.

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Pubblicato il
11/06/2025