In Alta Irpinia, a 92 chilometri da Avellino, ai confini con la Lucania e la Puglia, in quella che Franco Arminio chiama “Irpinia d’Oriente”, sta su un gentile altipiano Aquilonia, prima chiamata Carbonara.
La storia di Carbonara-Aquilonia
Carbonara: le origini sannitiche…
Carbonara-Aquilonia è un centro di origine sannita, come testimoniano i numerosi ritrovamenti archeologici della zona. Nel V – IV sec. a.C. diversi villaggi (oppida e vici), più o meno grandi, erano diffusi su questo altopiano ofantino. Pastori e agricoltori si insediarono in luoghi il più possibile inaccessibili alle incursioni di altri popoli vicini. I centri antichi dei Sanniti erano costituiti da ampi territori con un oppidum fortificato che sorgeva sulla cima della collina, entro le cui mura gli abitanti dei borghi sparsi si rifugiavano in caso di pericolo.
… e i Romani
Carbonara-Aquilonia – come gli altri centri limitrofi di Romulea (Bisaccia), Aletrium (Calitri), Akedunniad (Lacedonia), Cominium (Monteverde) – fu coinvolta nelle guerre contro Roma che nel IV sec. a.C. aveva cominciato la sua espansione verso l’Italia meridionale. Durante la seconda guerra sannitica Roma operò molte incursioni anche in questi territori.
La costruzione delle strade consentì poi un rapido collegamento con le zone oramai sottomesse e un marcato controllo della regione da parte di Roma. Passavano per questo remoto angolo dell’Appennino, oltre l’antica via Appia, anche la via Erculia e la via Traiana, un’importante traversa della Via Appia tra Benevento e la Puglia. Aquilonia sopravvisse come municipio romano e visse la grande vicenda storica dell’Impero romano fino ai primi segni di decadenza tra il IV ed il V sec. d.C.
I Goti
Nel V sec. d.C., con l’invasione dei Goti e la successiva guerra con i Bizantini ci fu un’ulteriore battuta d’arresto per la vita civile dei paesi ofantini, già in crisi coi Romani. Carbonara si arricchì di una rocca fortificata e divenne un centro militare a presidio della vallata dell’Osento e dell’Ofanto.
L’origine del nome Carbonara
Il nome originario, Carbonara, è forse da attribuirsi all’attività principale degli abitanti: la produzione del carbone vegetale; altre ipotesi sostengono che si chiami così per la presenza di carbonari; da ultimo, si sostiene che il nome sia dovuto alla presenza nel territorio di particolari pietre che contenevano petrolio e bruciavano con fiamma viva come carboni,. Ancora oggi questi minerali si trovano nella contrada di “Sassano”.
Il passaggio al nome Aquilonia
Il paese assunse il nome di Aquilonia nel 1861, per volontà politica dell’amministrazione liberale del tempo. Nel 1860, infatti, il paese di Carbonara conobbe una cruenta sommossa popolare filo-borbonica contro l’Unità italiana che culminò con l’uccisione di nove persone e poi conquistata dai briganti di Carmine Crocco. Per cancellare la macchia anti-unitaria della storia del paese, si chiese e si ottenne di cambiargli il nome.
Il centro divenne Aquilonia, in omaggio alla tradizione erudita locale che, sulla base di alcune ipotesi del 1500, identificava con il piccolo centro di Carbonara l’antica città dei Sanniti che oppose l’ultima resistenza all’espansione romana nel Sud Italia. Una recente iniziativa degli amministratori ha ricordato il nome originario del paese: sullo stemma civico è stata aggiunta la scritta “Olim mihi fuit nomen Carbonara”.
Il Museo etnografico MEDA
Il Museo Etnografico di Aquilonia è stato ideato e progettato dal prof. Beniamino Tartaglia, aquilonese trapiantato a Salerno, proprio negli anni in cui veniva eseguita la demolizione dell’insediamento delle “casette antisismiche“, costruite in epoca fascista, in cui per decenni aveva vissuto buona parte della popolazione trasferita a seguito del sisma del 1930 dal “paese vecchio” di Carbonara. La demolizione fu effettuata per costruire nuovi alloggi e fece emergere dalle cantine un patrimonio di oggetti provenienti dal vecchio insediamento.
L’inaugurazione del MEdA
La prima sezione sperimentale venne inaugurata il 29 dicembre del 1996. Da allora, grazie a un clima di collaborazione alimentato dal professore tra le diverse componenti della comunità locale, il Museo Etnografico di Aquilonia è diventato un riferimento culturale e programmatico per tutto il territorio regionale.
I contributi
La sua realizzazione è avvenuta grazie al contributo economico dell’Amministrazione Comunale, della Provincia e della Regione e con la collaborazione dell’associazione Gruppo di lavoro – Centro Storico, animato da giovani locali, e poi di un Comitato di gestione, rappresentante la quasi totalità della popolazione residente e degli emigrati: tutti hanno donato oggetti, fornito prestazioni volontarie e fatto offerte in denaro per i lavori, curati e diretti dall’arch. Donato Tartaglia, di ristrutturazione e di adeguamento a fini museali di un ex asilo-nido mai utilizzato per i fini per cui era stato costruito.
La mission del Museo MEdA
La mission del Museo Etnografico “Beniamino Tartaglia” è ancora oggi quella segnata dal suo fondatore e portata avanti successivamente da Donato Tartaglia: riconoscere il valore di un percorso storico collettivo, anche e soprattutto in quegli aspetti della memoria comune che definiscono la cultura di una comunità e il suo senso di appartenenza.
L’offerta del MEdA
Il MEdA propone sia collezioni tipologiche di oggetti e attrezzi che ricostruzioni fedeli atte a evocare i reali ambienti di lavoro e di vita domestica.
Il suo allestimento è mirato a finalità didattico-divulgative e basato sull’interazione diretta con gli oggetti. In questo modo, il Museo stimola connessioni nuove e genera autentica conoscenza.
Ampio spazio è dedicato al lavoro dei campi, alla flora e alla fauna, alle attività artigianali, commerciali e di servizio, alla proto-industria, alle produzioni alimentari, al mondo magico e alle sue pratiche, alla medicina e alle credenze popolari, all’organizzazione della vita familiare e della comunità, al tempo libero, alle consuetudini, all’istruzione, alle ritualità.
L’intervista al prof. Beniamino Tartaglia
Riporto parte dell’intervista fatta al prof. Tartaglia nel 2005, poco prima della sua scomparsa, anche per onorarne la memoria. Ci tengo a riportare le profonde riflessioni del Professore sul sentimento e la necessità che lo hanno mosso a mettere in piedi questo progetto.
Il recupero delle radici
“Si doveva sensibilizzare la gente sull’urgenza di una ormai indifferibile rivisitazione e di un estremo tentativo di recupero di una realtà, culturalmente tanto lontana e diversa dalla nostra, ma pur sempre sede delle sue radici.
Aquilonia, il viaggio della comunità
Doveva iniziare il “viaggio” della comunità, da ricompattare intorno ad un progetto comune e condiviso, verso la riscoperta dei “luoghi della memoria”, la ricerca e la raccolta degli oggetti una volta in essi contenuti ed usati, della documentazione archeologica, grafica ed iconografica sopravvissuta e dei tanti ed interessantissimi beni immateriali.
Dignità e cura
Il “viaggio” doveva essere un atto coraggioso di dignità civile, un gesto di cura affettuosa di una comunità verso sé stessa ed il suo passato, che si chinava a raccogliere i frammenti della sua lunga vita per costituirne un bene pubblico, affinché le nuove generazioni combattessero più convintamene il diffondersi del gelo dell’anima e si proiettassero più consapevoli verso il loro futuro”.
La ricomposizione di forme remote di vita
E ancora, il Prof. Tartaglia diceva: “Convinto che il museo deve essere come uno scenario per la riproposizione di forme remote di vita, uno spazio organizzato secondo un progetto di ricomposizione ambientale, che tenga conto del punto di vista del visitatore comune, dello studioso e, soprattutto, dei giovani, che nella quasi totalità ignorano l’esistenza di antiche realtà, solo un allestimento opportunamente mirato, con precise finalità didattiche e divulgative, può stimolare connessioni nuove e generare autentica conoscenza”.
Il museo MEdA oggi
A distanza di quasi vent’anni, il sogno del Prof. Mimì – come era affettuosamente chiamato – Tartaglia si è realizzato; anzi, grazie a lui, quest’avventura non solo ha avuto inizio e compimento, ma e si consolida sempre più, con collaborazioni con la Casa della Paesologia di Franco Arminio a Bisaccia, e anche con l’Università di Napoli.
Le parole del Presidente del Museo MEdA
Prova ne sono le svariate iniziative che oggi si realizzano e che l’attuale Presidente del Museo, Vito Coppola, mi ha illustrato.
“Le prossime iniziative – mi dice – saranno:
– migliorare la fruizione del Museo per la disabilità sensoriale;
– potenziare la Biblioteca, integrare i suoi servizi principali e connessi (prestito inter-bibliotecario, digitalizzazione dell’archivio cartaceo e fotografico, coordinamento e caffè, etc…);
– promuovere il Centro Studi “Donato Tartaglia” (cofondatore del Museo);
– pubblicare due libri: “Carbonara Aquilonia 1799-1949. Insurrezioni, brigantaggio, rivolte contadine” di Dario Ianneci e “Aquilonia in posa – La storia per immagini” (ultimo suo lavoro non ancora pubblicato)” di Beniamino Tartaglia.
Il Festival dell’Architettura
In questi giorni – continua – stiamo partecipando (da protagonisti) al “FESTIVAL DELL’ARCHITETTURA – II EDIZIONE” della Regione Campania di cui siamo partner. Maggiori dettagli a tal proposito li può attingere anche dalla nostra pagina facebook https://www.facebook.com/museomeda
Il legame con il cibo e l’alimentazione
R: “Tra i possibili moduli di visita del Museo, spicca certamente quello relativo all’alimentazione. Gli ambienti espositivi dedicati specificamente all’alimentazione e alla produzione e trasformazione di alimenti sono quelli riguardanti l’olio, la farina e il pane, la produzione casearia, il miele, il vino, la conserva di pomodoro, la produzione domestica della carne, il commercio della carne, la coltivazione del grano, le coltivazioni minori (ortaggi, legumi, barbabietola, patata), le piante selvatiche, l’alimentazione contadina (prodotti, piatti tipici e preparazioni), il saragaro – colui che vendeva le saraghe, o sarache, ovvero sardine o aringhe in salamoia e conservate in barili di legno.
Gli ambienti della cucina
Sono inoltre presenti ambienti espositivi indirettamente connessi con il tema dell’alimentazione, e dal forte impatto narrativo nel restituire usi e costumi connessi con il cibo e il suo consumo: la casa contadina, la religiosità popolare e tutti i mestieri di produzione e riparazione di strumenti connessi alla preparazione e al consumo alimentare (piattaio e concia piatti, bottaio, pignataro, stagnino, pastore). Infine, sono sviluppate tematiche tangenti come la medicina empirica.
Il Programma Scuola Viva
Solo pochi giorni fa, relativamente all’aspetto culinario, abbiamo aderito al Progetto Campania Felix “Programma Scuola Viva – Azioni di Accompagnamento”, con la sottoscrizione della dichiarazione di impegno come Partner, propostoci dall’Istituto Superiore Polispecialistico “San Paolo” di Sorrento, a cui partecipano anche circa 8 istituti alberghieri”.
Appennino, l’osso d’Italia
Sono colpita da tutti questi progetti in un sud d’Italia che è l’osso della nostra nazione, come alcune persone definiscono l’Appennino: lo scheletro che regge l’Italia, è privo di polpa, perciò ostico; in primis, da raggiungere. L’Alta Irpinia è remota, sarebbe intatta, pura come cristallo, e cristallizzata come qualcosa che non viene facilmente raggiunto dall’esterno, perché profonda, lontana.
Sarebbe intatta, se non ci fossero stati tremendi terremoti a “creparla” (1930, 1980). È perciò, e sempre più, sanguinante delle persone che la lasciano, in cerca di una vita dinamica, moderna, di un lavoro appagante, in cerca di vivacità e stimoli, di un futuro più complesso e interessante da costruire. Eppure, questa terra verde, fatta di tanti paesini abbarbicati sull’alta collina, ha in nuce diverse, nuove possibilità.
Le possibilità dell’Alta Irpinia
Da Franco Arminio, a Vinicio Capossela, al MEdA, si riprova a costruire una ragnatela di significati e di aggregazione. Da questo punto di vista, il Museo è una realtà dinamica, che cerca di unire cultura, educazione, tradizione, appartenenza, partecipazione, arte. È un progetto, questo, che vuole proporre nuove modalità di vivere e fare rivivere la comunità aquilonese e che fa parte di quel turismo cortese, periferico, a impatto zero, con una comunità lieta di ospitare, dei cibi genuini e gustosissimi da provare, dei luoghi mozzafiato che ti consiglio vivamente di andare a scoprire.