Rivista online

Il Don Giovanni di Mozart in scena al San Carlo

Tipo di attivitàEventi
RegioneCampania

Condividi

Può un Don Giovanni essere contro la violenza sulle donne? Se la regia è di Mario Martone, la risposta è ASSOLUTAMENTE SÍ.

Dopo il 2002 e il 2006, rispettivamente 22 e 18 anni, Mario Martone torna a curare la regia del Don Giovanni di Mozart, al San Carlo, il teatro dell’opera più antico del mondo. Grazie all’interpretazione del noto regista il capolavoro mozartiano, dal libretto estremamente complesso di Lorenzo Da Ponte, appare in una luce nuova. Quello che cambia, rispetto alle regie precedenti, è soprattutto la forza del messaggio perché, come ha scritto lo stesso Martone:

“Gli spettacoli sono fatti per essere vivi. Un capolavoro ogni volta che viene messo in
scena parla al suo tempo. Già nel 2006 l’aspetto criminale di Don Giovanni mi appariva più
chiaro. Oggi – trovo – che questo aspetto debba venir messo in luce” seppur, non manca di sottolineare, sia già dentro l’opera.
Per quanto alcune donne abbiano protestato contro la messa in scena questo soggetto, il
regista rivendica giustamente la libertà di poter proporre il Don Giovanni anche nell’epoca
post “Me Too”.

Mario Martone

Perché una rivoluzione sociale come quella che stiamo vivendo non può riuscire annullando la cultura che ci ha preceduto ma solo facendo i conti con la stessa, affrontandola e, ove necessario, sottolineandone le storture.

In altre parole, la regia diffusa di Martone, fluida e fresca, attualizza il dramma concettualmente senza snaturarlo. Così, mantenendo i costumi settecenteschi e mettendo le figure femminili al centro, il regista ribalta il senso del giocoso dramma trasformandolo da un’apologia ad una critica, silenziosa ma efficace, del patriarcato. Martone, esasperando i tratti violenti e psicotici del protagonista, disposto a tutto pur di
conquistare una preda dopo l’altra, lo condanna.

A tal proposito sono emblematici alcuni momenti del Don Giovanni

L’aria “Batti batti o bel Masetto”, in cui Zerlina, tornando pentita da Masetto, lo invita a punirla mentre lo lega con un nastro simbolicamente rosso, impedendogli quindi, l’azione violenta è un brillante contrappunto scenico al testo. Quando Donna Elvira, nonostante i tradimenti subiti, si impietosisce e chiede pietà, dietro di lei sfilano meste donne dal volto mascherato, metafora e prefigurazione delle vittime di violenze. Anche nella celebre aria “Madamina, il catalogo è questo” il regista riesce, attraverso la coreografia, a cura di Anna Redi, a ribaltare il senso del racconto, tramutando, sempre attraverso
l’escamotage delle maschere, le donne citate da trofei in vittime e, quindi, il canto da ode a
denuncia.

La regia del Don Giovanni

Nella messa in scena la regia è totale e moderna. Mario Martone che cerca sempre uno stretto rapporto con il pubblico, per aumentarne il coinvolgimento che, nella lirica è tradizionalmente meno usuale, non si limita a rompere la quarta parete ma gioca con l’intero teatro, demandando ai cantanti una performance attoriale vivace e dinamica.
L’impianto di base rimane sostanzialmente quello sognato oltre 20 anni fa.

Con la tribuna come unico elemento scenico, imperante al centro, in bilico tra “un’arena spagnola e gli scranni di tribunale”, per usare le parole del regista, al cui progressivo svuotarsi corrisponde
l’emergere della solitudine del protagonista fino “All’apparizione del castigo e della morte […]”. Nel suo procedere lo spettacolo si arricchisce di immagini potenti, veri e propri tableau vivant che rimangono impressi nella memoria.

Tra cui: la presenza del coro, diretto da Fabrizio Cassi e del corpo di ballo in scena, come pubblico giudicante o festoso; il funerale del Commendatore; l’orchestra che anima la cena; il ballo sullo sfondo del retropalco e i pittorici momenti finali. Naturalmente, scene e costumi di Sergio Tramonti amplificano l’impatto dell’intero spettacolo con scelte minimali ma ricercate nel primo caso e simboliche oltre che eleganti nel secondo.

Mentre, le luci di Pasquale Mari assumono un ruolo funzionale oltre che suggestivo, nel supportare la visione del pubblico, anticipando i luoghi dei movimenti scenici.

A livello musicale la direzione delicata di Constantin Tricks, anche Maestro al Clavicembalo, ha incontrato le intenzioni del regista, per cui nella lirica è fondamentale che partitura e azione procedano insieme, legate al ritmo. Le performance canore sono buone.

In particolare, Andrzej Filończyk, con il suo timbro basso è un valido Don Giovanni; Krzysztof Bączyk interpreta un ottimo Leporello, talentuoso anche nella recitazione e nell’espressività.

Antonio Di Matteo è un impetuoso Commendatore che riesce a farsi sentire, con vigore, nonostante la posizione spesso sfavorevole. Pablo Ruiz è un valente Masetto, ben assortito con la giovane Valentina Naforniţa che emerge nitidamente nei panni di Zerlina.

Toccante Selene Zenetti nel ruolo di Donna Elvira che prova invano a rivendicare i suoi diritti di legittima consorte. La coppia Donna Anna, Don Ottavio, interpretata da Roberta Mantegna, Bekhzod Davronov, sebbene capace poteva essere a mio parere più coinvolgente, soprattutto nel primo atto, con la morte del padre, e nell’ultimo.


In scena fino al 27 febbraio.
A cura di Ludovica Palmieri

Pubblicato il
22/02/2024