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Made in Italy, basta chiacchiere. Per un nuovo turismo democratico.

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L’editoriale del Direttore Lorenzo Crea

Da diversi giorni sulla stampa nazionale e internazionale tiene banco il dibattito sul turismo nel nostro paese, in particolare sulla nostra capacità (italiana e napoletana) di accogliere le tante persone che scelgono la nostra terra per trascorrere le vacanze. Penso alle affermazioni del Ministro tedesco Lauterbach che ha consigliato di utilizzare le nostre Chiese per “ripararsi” dal caldo ed ancora alle considerazioni dei colleghi francesi sui “rischi” che il grande successo turistico che sta avendo la città di Napoli, può comportare.

Non c’è dubbio che, al di là dei toni talvolta strumentali e polemici, la questione della riorganizzazione dei servizi è centrale. Ed io credo che dobbiamo ragionare su questi temi con responsabilità e senza alcuna demagogia.

I problemi infrastrutturali, penso ai collegamenti davvero complicati specie nel Mezzogiorno fra territori spesso confinanti, li conosciamo tutti.

Chi vi scrive è, lo dico chiaro, assolutamente a favore del Ponte sullo Stretto di Messina. Le grandi opere, se rispettano l’ambiente e vengono realizzato in ossequio alle norme ed alle leggi vigenti, sono fondamentali per modernizzare il paese e renderlo sempre più competitivo sul mercato turistico globale. Dalla Tav al Mose, che ha più volte salvato Venezia dall’acqua alta, sono iniziative da sostenere e moltiplicare.

I cantieri vanno sbloccati. Non demonizzati.

Tutelare l’ambiente, il paesaggio, i vincoli architettonici è giusto e doveroso, essere succubi del “nonsipuotismo” tipico degli integralisti del “NO” a tutto, è ridicolo.

I trasporti devono essere implementati (più linee, più corse), la grande macchina dell’accoglienza va organizzata con grande attenzione impiegando e pagando bene i nostri migliori giovani, i servizi vanno resi efficienti per tutti i target turistici. Inoltre. Non basta vantarsi del “made in Italy” se siamo vittime delle corporazioni.

Penso a due categorie come esempio: quella dei balneari e quelle dei tassisti. Le loro ragioni, che non sto qui a discutere, non possono però diventare difesa “tout court” delle corporazioni.

Liberalizzare il mercato è necessario non soltanto per offrire maggiori opzioni di scelta ma anche perché è l’unico modo per far calare i prezzi.

Quest’anno, mai così prima d’ora, le vacanze sono diventate un lusso.

Partono sempre meno famiglie, per sempre meno giorni.

E spesso e volentieri si scelgono mete estere perché risultano più economiche. Sembra un paradosso ma non lo è.

L’Italia deve puntare su tutte le sue innumerevoli eccellenze e dare vita a quello che potremmo definire un nuovo modello di turismo “democratico”.

Deve, cioè, diventare accessibile per chi ci vive e deve accogliere sempre di più e meglio chi ci viene.

Dai “maxi spendenti” che, però, pretendono servizi di altissimo livello (e qui mi fa piacere citare l’Aeroporto di Fiumicino che ha recentemente vinto un grande premio internazionale) a quelli che hanno minor capacità di spesa ma che non vogliono rinunciare a venire nel bel paese.

C’è poi la grande questione del turismo giovanile.

La Sardegna, la Puglia, la stessa Campania o l’intramontabile riviera romagnola, non hanno nulla da invidiare alle “inflazionate” Ibiza, Mykonos, Formentera che è ormai il tridente più in voga fra gli under 40.

L’appunto che ci muovono tanti ragazzi è che da noi non ci sono spiagge dove ballare o super attrezzate, diciamo “instragrammabili”.

Tralasciando il fatto che ormai la “dittatura social” impone scelte su qualsiasi cosa, anche sulle destinazioni estive. Il punto di fondo resta.

Se vogliamo competere anche su questo fronte bisogna affrontare la grande questione delle concessioni e delle tasse. Da una parte, non si può accettare l’idea che migliaia di km di spiaggia vengano date in utilizzo esclusivo a stabilimenti che pagano una cifra irrisoria di occupazione suolo e pretendono che questo privilegio debba continuare. In nessuna parte d’Europa è così. Dall’altra parte occorre intervenire senza demagogia e con concretezza sulla pressione fiscale e sul costo del lavoro.

Chi fa impresa nel nostro paese paga delle imposte, locali e nazionali, assurde. Fare l’imprenditore onestamente, nonostante Jobs Act e le norme di Industria 4.0, è sempre più difficile perché se è vero che spesso le proposte di lavoro sfiorano la schiavitù, è anche vero che sempre meno persone vogliono svolgere certe mansioni. Bisogna dunque mettere gli imprenditori nelle condizioni di investire e di assumere senza essere dissanguati dallo Stato, e allo stesso tempo dare delle regole che vengano fatte rispettare. Liberalizzare, detassare, sburocratizzare, regolamentare. Serve una grande riforma sul turismo, che rappresenta il 14% del Pil Italiano non dimentichiamolo.

Ma perché il “Made in Italy” sia un insieme di fatti e non di parole occorre una grande iniziativa politica e sociale. Se non ora, quando?

Pubblicato il
25/07/2023
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