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Poetry slam – il futuro della poesia

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Quando si parla di poesia si pensa spesso di aver a che fare con un ambiente datato e privo di evoluzione. Tuttavia, con l’avvento del Poetry Slam, questa convinzione è andata modificandosi permettendo, a chiunque voglia, di esprimersi liberamente e di poter essere chi si è in un società dove, troppo spesso, si fa fatica ad emergere.

Siete pronti a saperne di più?

La storia del Poetry Slam – dalla sua nascita fino ad oggi

Lo slam nasce nel 1984 quando Marc Smith, operaio nei cantieri e poeta, organizzò una serie di incontri di lettura a voce alta in un jazz club di Chicago, con l’intento di farsi ascoltare e di interagire con il pubblico immergendolo a pieno nella scena poetica. Successivamente, nel 1986, Smith incontra Dave Jemilo, proprietario del Green Mill Cocktail Lounge, e gli propone di organizzare, ogni settimana, una competizione di poesia ricevendo una risposta positiva e dando luogo, così facendo, al primo poetry slam in assoluto.

Molto presto l’idea venne copiata in molte altre città degli Stati Uniti fino a ramificarsi in tutto il mondo e a diventare, ad oggi, una vera e propria arte internazionale.

Per quanto riguarda l’Italia, l’associazione che si occupa di tutto ciò è la LIPS, Lega Nazionale Poetry Slam in Italia, di cui fanno parte diversi collettivi che, spesso aventi a capo gli stessi slammer, permettono ai poeti di partecipare alle competizioni in tutta Italia e di stringere legami utilizzando l’arte. Nello specifico, in Italia, il poetry slam ha poche e semplici regole: testi propri, 3 minuti e 10 secondi di tempo e nessun oggetto, musica e costume di scena, quindi scena nuda. I poeti, solitamente cinque o dieci per gara, si offrono in tutto il loro essere, rivolgendosi in pieno al pubblico che, avendo il ruolo più importante, deciderà le sorti del futuro vincitore della gara permettendogli così di intraprendere le varie competizioni e di passare da quelle locali fino a quelle nazionali.

L’Italia si pone come patria natia degli ultimi campioni del Poetry Slam World Cup – Coupe du Monde de Slam che sono rispettivamente: Giuliano Logos nel 2021 (@useyourlogos), Lorenzo Maragoni nel 2022 (@lorenzo.maragoni) e Filippo Capobianco nel 2023 (@filippocapoo). Inoltre, durante quest’anno, la poeta Gloria Riggio (@gloriariggio_) si è classificata come la prima donna a vincere il titolo italiano di Poetry Slam.

Come abbiamo detto, ci sono numerosissime collettivi che si occupano di poesia performativa. Tra questi, ad esempio:

  • Vividiversi (@vividiversi), con sede a Rimini e operante in Emilia Romagna, che ha organizzato gli ultimi campionati nazionali
  • Slam Factory (@poetryslamfactory), che opera in Lombardia e che organizzerà i campionati nazionali a Settembre a Milano
  • i Ripescati Dalla Piena che operano in Toscana e hanno organizzato i campionati nazionali del 2022
  • Ossi di Nutria (@ossidinutria) che opera in Toscana
  • Diverbio poetry (@diverbiopoetry), Caspar (@caspar_campaniaslampoetry), Flyschfact (@flyschfact) e Nottetempo (@nottetempo.collettivo) in varie zone della Campania
  • WOW – Incendi Spontanei (@wowromapoetryslam) che opera in Lazio
  • PoeMARE (@siamopoemare), di cui Gennaro Madera è vicepresidente e Davide Avolio uno degli associati più attivi, che promuove il Poetry Slam a Ferrara, Napoli e Zola Predosa e il PoeMARE Festival, quest’anno 9, 11 e 13 agosto a Cariati, in Calabria
  • UniPoska (@uniposka_poetiscatenati) e MeleMarce (@le.melemarce) operanti a Bologna
  • Compagnia delle Indie (@indiecompagniadelle) che opera in Lombardia

 Per quanto riguarda l’organizzazione dei prossimi slam vi segnaliamo in Campania:

  • 24 maggio – Largo Banchi Nuovi
  • 1 giugno – Villa Bora – per maggiori informazioni contattare Saturno Contro o Naomi Simeoli
  • 3 giugno – Luca’s Pub – per maggiori informazioni contattare la pagina Instagram del locale

Intervista a quattro slammer e poeti

Tra gli slammer della scena italiana figurano Saturno Contro (@satvrnocontro), Davide Avolio (@davideavolio_), Naomi Simeoli (@sehnsucht.29.6) e Gennaro Madera (@iomadera) con i quali abbiamo chiacchierato per cercare di immergerci completamente in questo meraviglioso ambiente della poesia performativa.

Com’è nata l’idea di partecipare allo slam? Saturno contro

La storia di come io sia entrata in questo mondo e abbia deciso di continuare a farne parte è molto divertente e piena di coincidenze che io voglio chiamare astrali, vuol dire che io dovevo essere qui oggi a raccontarvela in un certo senso. A novembre Viviane, la persona che ha vinto gli under 20 in Campania, mi ha introdotta a questo mondo avendo letto qualcosa di mio e quindi mi sono iscritta a uno slam seguendo l’istinto e da lì non ho più smesso.

Come strutturi le tue idee nella scrittura?Gennaro Madera

Su quaderni, note del telefono, foglietti, taccuini, tutto ciò che mi passa per la testa in momenti di ispirazione. Do molta importanza ai miei momenti di epifania poetica perché li rispetto e ascolto con cura. Segno tutto. Non butto mai via niente. Alcune volte continuo i versi fino a credere di aver concluso una poesia, altre volte lascio il lavoro incompleto, con un’unica certezza: tornerò su quelle parole più in là, quando arriverà il momento. Parlando con Davide usiamo spesso il termine “decantare” per le poesie come per il vino. Le lasciamo decantare e poi le riprendiamo al momento opportuno. Non esiste lavoro poetico senza labor limae. Può esistere la poesia, ma non il lavoro poetico. La poesia è il lampo, la folgore, il fuoco; il lavoro poetico è il rapporto che si ha con il lampo, con la folgore, con il fuoco.

È sempre necessario tornare e rapportarsi ai propri versi e riflettere su come migliorarli: è un passaggio inevitabile. Così strutturo le mie poesie, in questi anni più maturi più che in passato. Le parole devono decantare e poi cantare e poi andare via per sempre da noi. A sconvolgere la vita degli altri, di chi ha il coraggio di accoglierle.

Che cosa vuol dire scrivere poesia e che cosa rappresenta per te?Naomi Simeoli

Credo che l’atto della scrittura quando si manifesta come un impulso proprio non sia altro che un tentativo di colmare una mancanza; sorge la speranza di colmare quegli spazi con le parole. Io mi trovo principalmente a scrivere appena dopo una grande emozione, così: cercare di averla sempre lì pronta e illudermi di poterla rivivere proprio com’è. Talvolta rileggendole poi le correggo, inverto due parole, subiscono lievi mutamenti; altre volte è come se i versi li leggessi scritti nel cielo o per un istante davanti ai miei occhi e agile devo esser lì a non farli svanire. Tuttavia, quelle emozioni non le ritrovo mai uguali, credo che il motivo si ritrovi nel fatto che le parole non riusciranno mai a rendere pienamente il nostro sentire; inoltre, è sempre un’altra Naomi che legge le sue poesie, ogni volta che le ritrovo sotto gli occhi.

Come pensi che sia cambiata la poesia ad oggi? Ritieni che sia più accessibile? Davide Avolio

Secondo me, soprattutto l’aspetto tecnico della poesia richiede principalmente due elementi: uno studio tecnico di base di quello che sia appunto il verso, una strofa, il componimento, le figure retoriche e così via, con annessa lettura costante della poesia datata ma anche e soprattutto della poesia contemporanea, perché la poesia è cosa viva e crescente nel tempo, nel momento stesso in cui viene prodotta. È artificio e, al contempo, produzione più naturale possibile. In quanto tale, richiede molta sensibilità ed empatia, che sono gli elementi essenziali secondo me. Oggi, risulta, inoltre più accessibile, secondo la mia personalissima idea, perché un tempo la poesia era prigioniera di forme particolarmente auliche o per le quali era necessario avere un bagaglio di studi tecnici particolarmente importante; ad oggi, invece, questa forma è stata liberata, è stato un po’ come se il tempo e il mondo contemporaneo, anche la rapidità stessa dei social e della nostra generazione, avesse scardinato, scolpito via la poesia dal blocco di marmo che la imprigionava e in ciò, quindi, avvicina inevitabilmente molte più persone che si cimentano, leggono molti più poeti contemporanei, che si migliorano quindi e che producono sempre più arte. Non c’è più, o meglio sta scomparendo, l’imbarazzo, la vergogna di scrivere poesia e di definirsi poeti. Per fortuna, direi.

Ritieni che le performance poetiche recitate oralmente possano far sì che anche la nuova generazione si accosti a questo mondo?Gennaro Madera

Assolutamente sì, la dimensione orale della poesia attinge più dal linguaggio parlato, ma al di là del linguaggio, a mio avviso, l’influenza e l’appiglio maggiore che possa avere sta nel raccontare vicende quotidiane o fare delle reference più immediate. Certo, ci sono varie tipologie di poesie orali, ognuna con la propria dignità e varietà. Un altro elemento importante che viene fuori dall’oralità è il dialetto, perché è la lingua del popolo, è la parlata del contadino, del poeta, del cameriere, del benzinaio, dell’infermiera. La poesia, per me, deve sempre cercare una verità, raccontare la propria verità: solo in tal modo avrà dignità, rispetto e valore. E se il dialetto è la lingua della verità ben venga, anche perché se viene detta non necessita neppure di particolari attenzioni ortografiche come potrebbe capitare nelle trascrizioni. In sintesi: i giovani si avvicinano alla poesia orale sia perché, grazie a spettacoli e poetry slam, diventa più alla portata giornaliera, vivendo in pub e locali; sia perché arriva in maniera violenta e decisa come uno schiaffo, sia in chiave drammatica che ironica. Soprattutto unendo il corpo alla voce si dà alla poesia (prima solo muscolo, cartilagine, articolazioni e organi) una pelle, dei colori, dei lineamenti, che prima erano assenti. La si può riconoscere in un corpo e una voce. E quando una poesia vera viene detta è tutto il corpo che la dice. E si sente. Da lì la gente approfondisce, ne vuole ancora, si avvicina alla lettura e prova ad usare la propria voce a casa per comprenderla meglio.

Cosa influenza di più la tua scrittura?Saturno contro

Sono due i tipi di influenza che ci sono dietro al mio processo poetico e la mia scrittura generalmente: l’influenza letteraria e l’influenza quotidiana. Banalmente, sono influenzata da ciò che vivo e dal mondo che mi circonda quindi, spesso e volentieri, utilizzo un linguaggio fatto per arrivare a chi mi ascolta, molto più semplice di quello che magari potrei utilizzare. Le mie influenze letterarie sono quelle di poeti più contemporanei come, per esempio, Dino Campana, Eugenio Montale, Alda Merini, Umberto Saba o Sibilla Aleramo, compagna di Dino Campana, inoltre, sono molto influenzata da quello che è il genere rap, soprattutto quello di un artista in particolare, Willie Peyote, e spesso e volentieri infatti scrivo sulla base delle sue canzoni, dei suoi flow e, infatti, le nostre tematiche sono molto affini.

Pensi che la poesia possa cambiare positivamente il mondo?Davide Avolio

Diciamo che più che la poesia in sé, è quello che la poesia veicola. Quindi, qualsiasi strumento che possa veicolare un messaggio in maniera potente e ad effetto, è uno strumento che plausibilmente può cambiare il mondo perché può mischiare, infettare, altre menti, altre situazioni, altri ambienti. La poesia, in questo, ha un privilegio ovvero la forma che è essenzialmente libera e che, in quanto libera, consente a chiunque di avvicinarsi e di poterla sperimentare.

Pensi che il ritorno all’oralità possa avvicinare anche un pubblico più giovane alla poesia? – Naomi Simeoli

La poesia ebbe come primo mezzo di diffusione l’oralità, pensiamo all’opera omerica e la sua tradizione orale; si può dire che esiste da sempre, investendo nel tempo generi e ambienti differenti. La grande attenzione che sta avendo la poesia (sotto quest’aspetto faccio riferimento ancor più a quella performativa) credo abbia le sue origini nella sofferenza emotiva della società odierna, c’è bisogno di maggiore umanità e tutti la si sta ricercando nella poesia, nella sensibilità che mettiamo nuda e indifesa per le strade delle città. Sicuramente il mondo della Poetry Slam permette di avere più attenzione da parte di un giovane pubblico (che non ha tempo per fermarsi su un libro), ma c’è anche da dire che il genere poetico della Poetry Slam è lungi dalla profondità poetica che troviamo nei libri o quantomeno rara. Lo definirei quasi un format pericoloso perché rischia di gettare nel degrado totale l’idea contemporanea di poesia, ma se si potesse utilizzarlo come strumento di diffusione e opportunità di rinascita e riscoperta della storia e dell’antico, avremmo vinto tutto.

Una poesia per ogni poeta

La Rotonda, Gennaro Madera

Ogni giorno, alla rotonda d’ingresso per Zola Predosa,

c’è un signore di cui non conosco il nome.

Siede su una cassetta di plastica,

avrà poco meno che quattro volte la mia età.

Vende frutta: agrumi biologici Sicilia.

E chissà se ancora porta in dote quella cadenza.

Un giorno mi fermerò a parlargli, farò ritardo a lavoro.

Mi dirà buongiorno, mi venderà la nostalgia di casa mia.

Poi una mattina non mi aspetterà più alla rotonda:

vedrò il paesaggio che non avevo mai notato.

Penserò si sia riposato.

Il mattino seguente ancora sarà assente:

fisserò il fogliame malinconico.

Al terzo giorno di mancata visita, la squisita magia:

fioriranno aranci dal cespuglio.

Ci sarà profumo di bergamotto.

Avrà messo il seme. Sarà risorto,

ma non si venderà, non avrà prezzo questa eternità.

CARA MARITTINA, Saturno Contro

se provo a fare passi indietro

nella mia fallace memoria

la prima cosa che riesco a ricordare

non sono lacrime di gioia.

piuttosto le mani di marittina,

tanto grandi e morbide,

affaticate, eleganti come tòrtore:

“Rosa a nonna”, cominciava fiera,

“chest è ‘na vit e fatic,

nun aller.”

avevo dodici anni e nei suoi occhi

le lacrime di chi era già in lutto,

la voce di colei

che una speranza vorrebbe dare

a chi, per sopravvivere,

ha fallito nel fare di tutto.

cara marittina,

non so se sono “già” o “solo”

passati mesi da quella mattina,

quando senza avvertirmi

hai deciso di andare a fare un giro in collina,

e non tornare,

lasciando in camera mia tante scuse,

e una montagna di panni da lavare.

ma visto che è da un po’ che non ti fai sentire

io ho delle cose di cui ti voglio avvertire:

da quando te ne sei andata

sono diventata grande,

così tanto che a luglio ti ho lavato

per la prima volta le mutande;

da quando te ne sei andata

mi sono laureata,

e forse non ti ho perdonata

perché è da te che la mia testa

andava coronata;

da quando te ne sei andata

ho cominciato a fare gli slam

un mondo che hai sempre detto

facesse per me

ed è per questo che la lettera

la sto scrivendo a te,

per darti i meriti,

per dirti che su questi palchi

di tanto in tanto faccio un flambé

e altre volte, un fiasché.

cara marittina,

tra tutti gli insegnamenti

quelli che ricordo meglio

sono quelli dei miei peggiori momenti,

dati quando le circostanze mi han bastonato

e maledette, l’anima mi hanno strattonato.

“mi hanno fatto a pezzi nichi nichi”,

direbbe qualcuno,

ma forse mi hanno solo accartocciato

come quel foglio di carta per niente sfaldato

che ho trovato nei tuoi taccuini

e che nel retro del telefono ho conservato:

compleanno di rosa,

al primo agosto del ventidue firmato.

e io resto lì,

sui solchi ruvidi di questa carta

che sicuramente non canta

ma singhiozza nostalgici mantra

incisi tra i quadretti e una grigia lastra.

da quando sei andata via

la vita non ha sorriso,

marittina mia,

ma piuttosto col bisturi mi ha inciso

e ha lasciato ferite aperte,

senza suture

e senza un canovaccio di cura intriso.

a parole non so davvero dirti

quanto vorrei svegliarmi di mattina

e dovermi lamentare già dei piatti fritti,

dei colombi che non stanno zitti,

e sentire la tua risata divertita in trilli.

cara marittina,

da quando te ne sei andata

purtroppo non c’è abitudine

che mi abbia abbandonata:

quando la mattina mi preparo il caffè

sono due le tazzulelle che prendo

per me e per te;

quando torno a casa dopo un esame,

ancora mi aspetto di trovarti alla porta,

perché sei la prima a volersi congratulare.

da quando te ne sei andata,

mi ritrovo affaticata

ma tu non preoccuparti,

che se la strada ancora l’ho ritrovata

me lo hai detto tu:

la vita è ‘na fatic,

e va pure vissuta, anche se affannata.

e allor, marittì,

‘sta lettera è per te

per ricordarti, ovunque tu sia,

che nun e’ tenè

paur pe’ mmè.

che presto o tardi ci rincontreremo

tu, con la tua tazza a fiori;

io, con la mia bianca e asettica

al tavolo a bere

il solito latte e caffè.

Davide Avolio

Il mio nome si santifica nella tua bocca,

le sillabe si slacciano e ricompongono,

al mattino il mio nome si sveste

sulla punta della tua lingua contro il palato

e abbandona ogni fattezza umana

per accogliere l’incenso benedetto

della voce,

io torno ad avere un nome

saldo come un duomo

divino come il perdono

e solo quando mi chiami

riconosco la mia identità.

Lo stesso stupore primordiale, Naomi Simeoli

Io attenta alla luce scoperta,

son certa di ciò che importa!

Solo par che il lume divino si diverta

a tirar più forte la corda,

per testar la mia resistenza.

Le tengo la mano nella trasparenza.

E ricordo quasi un miraggio:

che già le strinsi le vene dei polsi

tra il fumo dei colpi esplosi

sott’i cieli più neri di maggio,

intonando per lei al paesaggio

i più bei versi di Montale:

dalla bufera, al mare, alle scale;

da dove mi pare di precipitare

nello stesso stupore primordiale

che sempre si ripete e mai uguale.

Dove sei mia musa,

che non spira più l’ambrosia

dei campi Elisi, gli astri sono spenti,

tu aspetti che sia tardi?

Ah, ma il tuo tempo non è scandito da orologi,

E or noi siamo simulacri

Che tentano invano di stringersi

Afferrando l’aria che va a disperdersi.

anime che or volano, stanche d’infinità,

c’ardono di nostalgia per la materia,

d’aversi vicine e incontrarsi vive

in un tempo preciso e in una città.

Tra tocchi e rintocchi,

e già dagli occhi

la felicità trabocca,

pare che quest’amor mi tocchi

che già mi baci sulla bocca.

Lei prende forma poi si distrugge

e poi nuovamente lei si trasforma,

Con la sua forma poi lei mi sfugge

e devo seguirla in eterea forma.

Quanto mi manca nell’aria sottile

respiro il suo dolce ricordo.

Quando con baci e voce gentile

se n’andò via senza ritorno.

E di quell’ardore profondo

restano lettere su un candido foglio.

io ho solo amore nel corpo,

io ho solo impresso il suo volto.

ritorno con lettere antiche cantare

a cercare per lei le parole più belle,

descrivo le stelle riflesse nel mare

come tristemente le vedo tremare.

E tornerà la voce a te dovuta,

ancora col mio nome ti chiamerà

una sconosciuta che per strada ti saluta.

In uno squarcio della tua continua distrazione,

in qualche suo spiraglio,

Guardandomi, m’avrai riconosciuta.

Assaggi di Genovese – lo spettacolo di Davide Avolio e Gennaro Madera

Davide Avolio e Gennaro Madera, oltre ad essere slammer e autori di alcune raccolte poetiche, danno luogo anche ad uno spettacolo itinerante, intitolato per l’appunto Assaggi di Genovese, con il quale, attraverso alcune poesie, spesso legate tra loro, pongono ancora una volta, al centro della scena, l’attenzione e l’interesse del pubblico.

Tra le poesie presenti negli spettacoli è possibile annoverare Papà, poesia realizzata a quattro mani e qui riportata:

Gennaro Madera

Papà,

non ci siamo mai detti «le cose»:

ché ho dedicato sempre poesie a mamma:

la mamma, la mamma, la mamma

e tu mi dicevi: «ci sono anch’io».

La vita è stata sempre un esserci

e basta. Il passaggio con la macchina,

l’eredità in porta, il pieno, il meno:

quando mi hai tirato uno schiaffo e spinto

alla porta blindata d’ingresso,

compresso in un angolo di terrore…

me lo ricordo

come la soluzione alla disgrazia,

l’evasione allo spavento, che pareva fossi dio

che spostassi e fermassi il vento a tuo piacimento,

a volte, solo per me.

Che pare di esserci sempre detti «le cose».

Le cose no, non ce le siamo detti,

ci sono sbattute addosso negli anni

ci hanno ammaccato, ci hanno resi simili,

le abbiamo assimilate, le cose.

E oggi te le dico, papà.

Ché non siamo quello che non diciamo

non siamo quello che diciamo

e neppure ciò che mangiamo,

con cui carburiamo:

siamo semplici e piccoli. Macchine,

utilitarie noi. Siamo

una serie di eventi che ci malformano la carrozzeria.

Talvolta la prendi a pugni

per risanarla, idiota.

Non hai capito che non puoi cambiare il pezzo –

che non c’è mercato

che noi siamo un tutt’uno.

Che io sono le tue botte,

i tuoi incidenti.

E tu sei i miei.

E quelli di tuo padre.

E sei le chiavi che ti hanno graffiato

e quelle che ti hanno aperto.

Stasera per aprire me devi entrarmi dentro.

Si è rotto il collegamento a distanza

devi girare l’ingranaggio.

Siamo il punto di sutura che rimane cicatrice

e siamo i tre aperti, di punteggiatura,

di quando non rispondi

e scappi.

Siamo la Punto senza specchietto,

perché è disastrato: non sappiamo

guardarci indietro.

Tu pensi di essere l’unico,

di sfrecciare solo verso le campagne

dei tuoi silenzi. Io ti sto inseguendo.

Io sono la cicala che ti sveglia al mattino,

che non può più sfregare la zampa, rotta.

Ma mi senti,

lo so che mi senti,

papà.

Davide Avolio

Papà tene e rine accise d’’a fatica,

che fatica che so’ quarant’anni,

tene cinquant’anne, sule diece anne e respiro;

‘na vita diversa da chella e ll’ato

Papà era l’ultimo e undici figlie,

crisciuto ‘a criature miezz’’a paura,

dint’’e strade e nisciuno

ce stevene sule tossiche e ‘mbriacune,

nun ce stevene stelle miezz’’e prostitute,

‘o cchiu onesto campava e contrabbando

Venneva ‘e sigarette e priava cocche santo,

papà, però,

s’’a faceva cu chi era meglio e isso

jeva ‘a scola, se ‘mparava

sunnava pure addo nun asceva ‘o Sole

e nun teneva nemmeno undici anni

‘o juorne d’’a primma sigaretta

Chillu juorne nun ‘o ssapeva

ma era crisciuto ambressa,

addivintaje omme primma ancora

e essere figlie,

Papà vedeva ‘e muorte aizzate ‘a terra

a piccerille, vedeva i morti

vedeva ‘o sangue ‘nfacc’e mmura

vedeva ‘o sangue, ‘nu criature

‘ nu criature che vedeva ‘o sangue,

che primm’ancora d’e pazzielle

ha cunusciuto l’arme,

papà tene e rine spezzate

perché fatica che so quarant’anni,

teneve diece anni e scelse la luce,

ind’’o scuro d’’o vico perduto

papà nun è caruto, s’è strignuto

‘a ‘na forza che nun sapeva e tenè,

a forza ‘e ‘nu rre

crisciuto ind’’a ‘nu vascio,

‘nu rre che fatica, che fa tre figlie,

i suoi gigli, che li vede la sera

solo la sera, perché papà

tene e rine accise d’’a fatica

scende con l’alba che so quarant’anne

e torna c’’a luna che pesa ‘ncopp’e spalle,

e quanne torna e ij ‘o guardo

e cerco l’uocchie suoje

veco ‘n’omme che nun parla

che si tiene tutto dentro,

che sente e soffre ogni vento

e sospira nella sera, che s’addorme

c’’e penziere, che non sogna, che non spera

perché papà ha la vita

spezzata dal dolore,

dal silenzio dello stato su ogni posto di lavoro,

dalle tredici ore senza pausa né decoro,

dall’assenza di giustizia, dall’assenza di contratti

tene ‘e rine accise d’’a fatica, papà

ma sustene ‘a tutti quanti.

Per qualsiasi informazione sugli eventi contattate il profilo Instagram ufficiale del duo (@maderavolio)

Quindi, con questo articolo vogliamo dirvi, sinceramente, esprimetevi, siate liberi di essere chi siete e non abbiate paura di mostrarlo al mondo. Immergetevi nell’amore, nell’arte e nella bellezza. Vivete a pieno, sempre.

Per restare in tema, non perdetevi la fiera UN MARE DI LIBRI!

Pubblicato il
22/05/2024
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