Raramente l’arte del Novecento sa mostrare, aldilà di ogni giudizio particolare o di ognisimpatia, un talento smisurato ed universalmente riconosciuto. Le tendenze, i movimenti, i tentativi, sono stati molteplici. Eppure ci si trova dinanzi ad un senso spaesamento, ad una sequenza non lucida di copisterie d’avanguardia che non procreano il mondo. Abbiamo, tuttavia, casi particolari; casi di eccelsa fattura. Ed uno di questi casi è, senza dubbio, Joan Mirò.
Quest’anno, Roma accoglierà la mostra antologica del pittore spagnolo ed offrirà ai visitatori una rara esperienza di contemplazione dell’essere, prim’ancora che delle forme.
Joan Mirò: il maestro surrealista
“Mirò è il più surrealista di tutti noi”: scriverà Breton, fondatore teorico del movimento surrealista. Un giudizio a tratti categorico, ma giusto. Perché Joan Mirò non è stato solo un surrealista, ma un maestro di pittura. E questa sua maestria si è manifestata nel portare alle estreme conseguenze il tentativo e lo sforzo del movimento surrealista.
Nato in Spagna nel 1893, Mirò manifestò fin da piccolissimo una sua intensissima predilezione per il disegno. Al punto che, dal 1912, cominciò a frequentare i vari Circoli e Scuole d’Arte spagnoli. Fin quando, non decise di trasferirsi a Parigi, per seguire da vicino gli esiti dell’esperienza Dadaista e Cubista.
Nella capitale novecentesca dell’Arte, Joan Mirò conobbe il suo connazionale Pablo Picasso e si avvicinò ai Circoli Dadaisti. Per abbandonarli, poco più tardi, quando, affascinato dai poeti surrealisti decise di abbracciarne stile e linguaggi.
Degli anni ’30 furono le prime sperimentazioni artistiche: litografie, acquaforte, sculture, pittura su carta catramata, lavorazione del vetro. Il tutto realizzato con un’ossessione futuristica: stuprare, violentare, uccidere il linguaggio dell’arte tradizionale. Un dettato fortissimo, senza dubbio, ma anche d’indice per la sua genialità. Genialità, nel dettaglio, che emergerà definitivamente negli anni Cinquanta, quando le sue opere saranno esposte in tutto il mondo, soprattutto negli Stati Uniti. Da quel momento in poi, Mirò comincerà un periodo di lunga ascesa e sperimentazione; sperimentazione che si rifletterà soprattutto nella sua scelta di far ampio uso di ceramiche e materie manuali.
Pensiamo ai Murales del Sole e della Luna presso la sede UNESCO di Parigi, oppure il logo per il Mundial ’82 in Spagna. All’apice della sua produttività artistica, Joan Mirò morì nel 1983, ponendosi nella triade della grande Arte spagnola nel mondo, assieme a Picasso e Dalì.
Entrare nel mondo artistico di Joan Mirò significa alienarsi. Alienarsi, tuttavia, di un’alienazione verace, di un’alienazione che è ricollocazione in un se stesso verace e che si dispiega senza timori. Joan Mirò fa trionfare la frammentazione, il colore forte e vivace, non scompone linearmente la realtà, ma la procrea attraverso il senso di una prospettiva, capace di ridefinire il mondo. E questo sforzo artistico non può essere liquidato col semplice onirismo surrealista e con la ricezione della forma dell’inconscio: Mirò diversifica la tradizione.
Pur essendo legato all’alfabeto del disegno figurato (dunque della figura), questa è incrinata nel suo scheletro: c’è altra sensualità, altra allegria, altra angoscia, altra tratteggiato. È una sorte di oltre-linguaggio, indice di un dispiegamento che guarda al futuro. Caso eclatante è, senza dubbio, nel Carnevale di Arlecchino. Opera, questa, realizzata da Mirò negli anni Venti del Novecento e che segna un taglio netto rispetto ad ogni precedente tentativo artistico personale e di Movimento Surrealista.
Questa avanguardia creativa è anche visibile nella scultura. La Dona i ocell (La Donna e l’uccello), ultima opera di Mirò, è forse uno dei grandi testamenti del pittore spagnolo alla storia dell’arte. Si tratta, infatti, di una statua di 22 metri di altezza, sita nel Parco Joan Mirò di Barcellona, che raccoglie le ossessioni di un’intera vita artistica. È il trionfo di colori vivi, la delicatezza nel taglio dei lineamenti, la rielaborazione onirica ed onesta della sessualità maschile e femminile, l’apertura al cielo, la visione di una nuova vita che viene alla luce.
Mirò in mostra a Roma
Dal 14 settembre 2024 al 23 febbraio 2025, è, dunque, in mostra, presso il Museo Storico della Fanteria a Roma, Joan Mirò – Il costruttore di sogni.
La mostra, a carattere antologico, dedica una sezione alla collaborazione con la famosa rivista Derrière le Miroir, edita dalla mitica galleria Maeght, per la quale il grande artista realizzò dei veri capolavori di grafica. La sezione è accompagnata da dipinti, disegni, ceramiche, libri e fotografie a documentare tutto il suo percorso creativo.
Mirò – Il costruttore di sogni racconta la figura di Joan Miró attraverso una selezione di opere che raccontano l’avventura nella gioia di vivere del cantore del calore, del segno, e dell’aspetto gioioso e ludico dell’arte. Le sue opere non sono semplici immagini, ma sensazioni, emozioni immediate e suggestioni.
Mirò – Il costruttore di sogni si avvale di prestiti provenienti da importanti musei spagnoli e francesi e conta la presenza di circa 80 opere tra dipinti, tempere, acquerelli, disegni, sculture e ceramiche, oltre ad una serie di opere grafiche, libri e documenti.
Il percorso espositivo presenta inoltre una importante sezione di foto e video che raccontano il privato e il pubblico del grande maestro del surrealismo europeo.
È possibile visitare la mostra dal lunedì al venerdì: dalle ore 9.30 alle ore 19.30.
Sabato e Domenica: dalle ore 9.30 alle ore 20.30. Ultimo ingresso trenta minuti prima della chiusura. Per l’acquisto biglietti, visita il sito.
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