Niccolò Celesti è un fotografo e fotoreporter italiano. Dopo aver studiato fotografia al London College of Communication, la sua passione per lo storytelling lo ha spinto a realizzare numerosi reportage su temi spinosi, come sfruttamento, prostituzione e narcotraffico.
Dopo aver lasciato l’agenzia del fotografo Massimo Sestini, celebre fotogiornalista italiano, decide di mettersi in proprio e parte per missioni “delicate”.
Nel 2022, per la prima volta, Niccolò ha realizzato dei reportage sulla battaglia di Kiev, testimoniando dal fronte.
Quest’oggi, Niccolò si trova nuovamente sul territorio ucraino per una missione di solidarietà, portando aiuti umanitari alle popolazioni colpite dalla guerra.
Abbiamo l’onore di intervistarlo e di farci raccontare cosa si prova ad essere testimoni sul campo di battaglia.
Niccolò Celesti, benvenuto ad InItaly. Possiamo dire che ti configuri appieno nel nostro ideale di eccellenza italiana. Difatti, i tuoi lavori, spesso delicati come quello che stai svolgendo in questi giorni, hanno fatto di te un vero e proprio eroe. Ci racconti il tuo percorso di crescita professionale?
Il mio percorso di crescita professionale è iniziato da autodidatta, quando a 28 anni mi sono trasferito dalla frenetica Londra, dove studiavo fotografia al London College of Communication, fino in Colombia, spinto dal desiderio di reportage e di viaggio.
Al mio rientro a Firenze, un anno dopo, mi presentai con un portfolio all’agenzia di Massimo Sestini, dove iniziai a muovere i primi passi nel fotogiornalismo. Dopo alcuni anni lasciai l’agenzia e cominciai a lavorare come freelance. Il mio lavoro si concentra principalmente su tematiche sociali e realtà emarginate, con l’obiettivo di portarle all’attenzione del pubblico e contribuire a una maggiore consapevolezza collettiva.
Come passi le tue giornate sul territorio ucraino? Cosa si prova a sentire gli allarmi dei droni e dei missili?
In Ucraina, ogni giorno è diverso e molto dipende dalla posizione in cui ci si trova. Io lavoro per il 70-80% sul fronte, spesso a stretto contatto con alcuni soldati, e devo adattarmi ai loro ritmi e alle loro necessità.
La parte più difficile per me, quella che contraddistingue molte guerre, è l’attesa: lunga, snervante e quasi infernale. Per il mio carattere, è forse l’aspetto più arduo da accettare in questo lavoro. La guerra, infatti, è fatta di momenti adrenalinici, di azione intensa, alternati a periodi in cui non succede nulla per giorni.

Ogni persona reagisce in modo diverso ai missili e agli allarmi. Io, di natura fatalista, ho imparato a riconoscere il suono dei vari missili e droni, così da capire quanto tempo ho a disposizione per mettermi al riparo, oppure se è inutile spostarsi. Questa valutazione cambia, ovviamente, in base alla posizione in cui mi trovo. Se ad esempio mi trovo a viaggiare dal fronte a Kyiv, tendo a non rifugiarmi in un bunker durante un allarme. Piuttosto, mi concentro sul preparare l’attrezzatura nel caso dovessi coprire l’area di un attacco.
Sul fronte, al primo rumore o allarme, ci si guarda intorno per individuare un possibile rifugio o un angolo sicuro. Le orecchie sono tese ad ascoltare il cielo, mentre gli occhi scrutano l’orizzonte in cerca di pericoli imminenti.
Grazie ai tuoi reportage, abbiamo delle testimonianze lampanti di quanto sia crudele e difficile la guerra. Ci descrivi cosa vedono gli occhi di quel popolo?
Gli occhi del popolo ucraino hanno visto la guerra dal 2014, e in verità, per centinaia di anni, hanno sopportato intolleranze, attacchi e oppressioni da parte dell’imperialismo russo. Sono occhi increduli di fronte a questa continua sofferenza. Un popolo che sperava che la democrazia e l’epoca moderna li avrebbero condotti verso l’Occidente, ma che invece si è visto risucchiato in un’invasione crudele, con i russi che, anche oggi, li considerano traditori, nazisti, inferiori, come se fossero una colonia.

Ritornando all’Italia, con Tekmerion sei stato il responsabile della produzione del calcio storico fiorentino. Per un fiorentino, quali emozioni si provano a vivere il 24 giugno?
Nel corso degli anni, mi sono avvicinato all’organizzazione del calcio storico come fotografo e videomaker, con l’idea di far crescere questo sport e farlo conoscere nel mondo. Oggi, grazie alla collaborazione con Tekmerion, siamo riusciti ad acquisire i diritti televisivi e stiamo lavorando per far conoscere questo magnifico gioco a livello internazionale, con l’obiettivo di renderlo visibile nei prossimi anni, in particolare a partire dal torneo del 2026.
Per questo progetto internazionale, il mio ruolo è quello di gestire l’intera macchina organizzativa e i rapporti tra la società e i numerosi professionisti che ruotano attorno al Calcio Storico Fiorentino.

Quale avventura professionale ti piacerebbe intraprendere nel futuro?
In futuro, continuerò purtroppo a essere coinvolto nelle troppe guerre che affliggono il nostro mondo, affrontando anche il tragico problema palestinese, che sta vedendo riemergere un genocidio inaccettabile. Parallelamente, continuerò a lavorare per la città di Firenze e mi dedicherò a viaggiare per il mondo, anche se, a causa dei numerosi impegni professionali, non sempre riesco a farlo come vorrei.
A valle delle tue esperienze vissute, nonostante la tua giovane età, quale sogno vorresti realizzare per il mondo intero?
Oggi il futuro appare incerto su tutti i fronti. Non mi aspetto la pace nel mondo: ho viaggiato troppo e visto abbastanza per sapere quanto questa speranza sia fragile. Da uomo di campo, credo che la violenza faccia parte della natura umana, e che non sarà mai possibile eliminarla del tutto.
Tuttavia, possiamo scegliere da che parte stare: continuare a raccontare, a documentare e a mostrare all’uomo gli orrori che egli stesso è capace di generare.
Grazie per essere stato con noi. Ci auguriamo di raccontare presto un tuo nuovo reportage.
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