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L’Italia trionfa al 100 best cheeses in the world

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L’Italia, terra di eccellenze e riconoscimenti, ancora una volta si rende partecipe di un trionfo mondiale. Senza dubbi, la penisola italiana è una delle più invidiate al mondo per la sua arte culinaria e per i suoi prodotti del territorio. Quest’anno, la classifica “100 best cheeses in the world” 2023-2024, stilata da “Taste Atlas”, l’atlante on line del cibo di tutto il mondo, ha voluto premiare ancora una volta il bel paese.

Infatti sui 100 prodotti maggiormente riconosciuti in tutto il mondo, circa un quinto della classifica è occupata da formaggi italiani.

Ad impreziosire la classifica è stata la presenza tutta italiana sul podio con i riconoscimenti a:

1. Parmigiano Reggiano

2. Mozzarella di Bufala Campana

3. Stracchino di Crescenza

Nelle prime venti posizioni trovano posto anche la Burrata, il Grana Padano ed una selezione di tre tipi di pecorino come quello romano, sardo e toscano. Andiamo a scoprire ora nel dettaglio dove nascono e come sono divenuti famosi i tre formaggi nelle prime posizioni del podio.

Parmigiano reggiano: la “perla” d’Italia

Il Parmigiano Reggiano è un formaggio antico, nato dalla necessità di conservare il latte per lungo tempo. I primi a produrlo furono i monaci cistercensi e benedettini nel Medioevo, sfruttando il sale di Salsomaggiore e il latte delle loro vacche. Il formaggio aveva una pasta dura e una forma grande, ideale per durare a lungo.

Il formaggio di Parma era già famoso nel 1200, come dimostra un documento notarile di Genova del 1254. Nel XIV secolo il suo commercio si diffuse in varie regioni italiane e anche nel Mediterraneo. Nel 1400, in Emilia, ci fu una crescita economica e produttiva, con la partecipazione di feudatari e abbazie. Le forme del formaggio diventarono più pesanti, fino a 18 kg.

Nel XVI secolo si svilupparono le vaccherie con annesso il caseificio, dove il latte del proprietario si univa a quello dei mezzadri, che collaboravano con il casaro. La vendita del formaggio si ampliò ancora: a Parma c’erano i formaggiai o i lardaroli che vendevano anche i salumi a mercanti di altre zone, soprattutto di Milano e di Cremona. Iniziò anche l’esportazione in tutta Europa: Germania, Fiandre, Francia e Spagna. Per proteggere il formaggio da imitazioni, il Duca di Parma Ranuccio I Farnese stabilì la denominazione d’origine con un atto del 7 agosto 1612.

Nel documento si indicavano i luoghi da cui doveva venire il formaggio che si poteva chiamare di Parma: questa data segna l’inizio della storia della Denominazione d’Origine, oggi riconosciuta in Europa. Nel tempo, il Parmigiano Reggiano ha mantenuto le stesse modalità produttive naturali, senza additivi. All’inizio del 1900, però, si introdussero alcune novità, ancora valide, come l’uso del siero innesto e del riscaldamento a vapore. Il 27 luglio 1934, i caseifici di Parma, Reggio, Modena, Mantova (destra Po), si accordarono per creare un marchio di origine per il loro formaggio.

Dopo la guerra, il Parmigiano Reggiano riprese vigore, grazie alla conferenza di Stresa del 1951 sulla denominazione dei formaggi. Nel 1954 la legge italiana sulle denominazioni d’origine trasformò il primo consorzio in quello attuale, il Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano. Nel 1992 il Regolamento CEE 2081/1992 sulle Denominazioni d’Origine Protette, le DOP (poi integrato dal Regolamento (CEE) 510/2006), riconobbe il Parmigiano Reggiano come una DOP europea: passaggi essenziali per la tutela comunitaria del Parmigiano Reggiano, che è uno dei formaggi più falsificati e copiati del mondo.

Mozzarella di Bufala Campana: la “regina” del sud Italia

Il formaggio a pasta filata nasce intorno al 500 a.C., come scrive Ippocrate, per conservare il latte più a lungo. La cagliata, scaldandola, si poteva lavorare e trasformare in formaggio. Verso l’anno 1000, i Normanni portano in Italia i bufali dall’India orientale. Gli allevamenti di bufalo si stabiliscono nelle zone umide della Piana del Volturno e della Piana del Sele, dove trovano un ambiente adatto.

Il bufalo è utile sia come animale da lavoro sia per il latte, usato come bevanda energetica e dissetante dai soldati. Poi, per far durare di più il latte, si pensa di farne un formaggio a pasta filata, chiamato mozza, dal gesto con cui si taglia la pasta con due dita per darle la forma voluta. I primi documenti che parlano della mozzarella di bufala sono del XII secolo, quando i monaci del monastero di San Lorenzo in Capua offrivano ai pellegrini un pezzo di pane con un formaggio chiamato mozza o provatura se affumicato.

Il termine “mozzarella” si trova per la prima volta nel 1570, in un testo di Bartolomeo Scappi, cuoco privato dei papi Paolo III e Pio V e autore di uno dei più completi libri di Gastronomia del XVI secolo, “Opera di Bartolomeo Scappi, mastro dell’arte del cucinare, divisa in sei libri”. Dal 1300 in poi i prodotti caseari fatti con il latte di bufala si trovano in tutti i mercati della provincia di Caserta e del Salernitano. Visto che la mozzarella fresca si guasta presto, per portare i formaggi lontano, si mandavano solo le provole o le mozzarelle affumicate.

La produzione di mozzarelle e altri prodotti caseari fatti con il latte di bufala continua nei secoli con alti e bassi. All’inizio c’erano delle semplici bufalare in fango e paglia, dove i contadini mungevano gli animali e facevano formaggio. Solo dal XV secolo queste casupole diventano in muratura ma il metodo di lavorazione della mozzarella non cambia. Il periodo d’oro della mozzarella di bufala è il Settecento, con i Borbone e la nascita della Tenuta Reale di Carditello.

Il Re mette qui un grande allevamento di bufale, insieme a quello che è considerato il primo caseificio sperimentale, la Reale Industria della Pagliara delle Bufale. Per i prodotti che dovevano andare lontano si consigliava l’affumicatura, che ne aiutava la vendita. La mozzarella si faceva anche a Capodimonte, dove la Vaccheria Reale faceva latticini sia con latte di bufala che con latte vaccino.

Fino all’unità d’Italia, la produzione di prodotti caseari bufalini nel sud Italia aumenta molto e, con l’arrivo della ferrovia, le mozzarelle si diffondono anche fuori dalla regione. Dopo le bonifiche di molti territori, le aree dedicate agli allevamenti di bufale, e quindi alla produzione di mozzarelle, si riducono molto, per finire del tutto negli anni 1861 al 1871.

Dopo una lenta ripresa, negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso l’attività casearia tende a scomparire, per poi rifiorire solo grazie alla volontà e alla lungimiranza di molti agricoltori e imprenditori. L’allevamento di bufale e la produzione di mozzarella ha così vissuto una graduale rinascita fino alla costituzione nel 1981 del Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana e, nel 1996, il riconoscimento del marchio Dop. Oggi la mozzarella di bufala è il quarto prodotto caseario più esportato d’Italia e il primo del sud.

Stracchino di Crescenza: l’eccellenza della Pianura Padana

La Crescenza è un formaggio a pasta cruda, di latte intero di vacca e a stagionatura corta. Fa parte degli stracchini, che sono formaggi molli. Il nome crescenza viene da “carsenza”, che in dialetto lodigiano vuol dire focaccia, perché si usavano gli stessi stampi per fare pane e formaggio. Un’altra idea è che il nome viene dal fatto che la Crescenza si gonfia e si rompe come il pane se la si tiene al caldo.

La Crescenza si fa oggi soprattutto in fabbrica, ma viene dalla Pianura Padana, a sud di Milano, nelle province di Lodi e Pavia, dove si fanno molti formaggi molli. La Crescenza non ha crosta, ma è più secca fuori. La pasta è bianca, liscia, compatta, burrosa e si scioglie in bocca. Le forme sono parallelepipedi con lati di 20 centimetri e scalzo alto 4,5 centimetri; il peso va da 250 grammi a 1 chilogrammo. Per tenerla fresca si fa in due modi diversi: la Crescenza a pasta molle e cremosa (tipo invernale) e la Crescenza a pasta sostenuta (tipo estivo).

Adesso non vi resta che provare questi splendidi prodotti caseari raccontati da in-italy.eu.

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Pubblicato il
28/12/2023